Autonomia differenziata: i pro e i contro della riforma

14.03.2020

di Adriano Giudice

Nell'ultimo periodo, con l'avvento dei governi Conte e Conte bis, il tema dell'autonomia
differenziata e del divario crescente tra nord e sud è tornato ancora una volta al centro
dell'attenzione. In seguito ai referendum consultivi del 2017 avuti in Lombardia e Veneto, si sono
accodate a queste anche Emilia-Romagna e Piemonte con le quali si è giunti ad un'intesa con il
governo.
Ma cosa si intende per autonomia differenziata? Successivamente alla riforma nel 2001 del Titolo V della Costituzione, con cui si sono rafforzate le autonomie territoriali, l'art.116, terzo comma, della Costituzione prevede la possibilità di attribuire, con legge dello Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (c.d. "regionalismo differenziato"). Le materie concernenti ulteriori forme di autonomia sono: tutte le materie previste all'art.117, terzo comma, e le materie indicate dal secondo comma rispettivamente alle lettere l, n, s: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull'istruzione, tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
Come si è detto il tema dell'autonomia differenziata è sostenuto dall'Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte e non conosce distinzione politica, difatti è sostenuto sia dalla Lega che dal Partito Democratico. In Emilia Romagna il Presidente Bonaccini (PD), successivamente alla rielezione alla presidenza regionale, ha ribadito l'impegno nel trovare accordi con il governo il prima possibile. Il Segretario della Lega, Matteo Salvini, sta facendo i conti con il passato del suo movimento, dopo aver fatto una campagna elettorale vincente in molte regioni del sud al grido di "Prima gli Italiani", adesso si ritrova a sostenere sia le politiche secessioniste dell'ex lega nord, che di unità nazionale avevano ben poco, sia le politiche sovraniste della "nuova" Lega.
Nella nota di aggiornamento al DEF 2019 viene riferito l'impegno del Governo a portare avanti il processo di attuazione del federalismo differenziato. Le linee programmatiche enunciate nella nota stabiliscono che il processo di autonomia differenziata si svolgerà nel rispetto del "principio di coesione nazionale e di solidarietà e nell'ambito di un quadro di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP). Tutto ciò anche al fine di evitare "di aggravare il divario tra il Nord e il Sud del paese".
Nello scontro tra chi sostiene il regionalismo asimmetrico e chi invece è fermamente contrario, quali sono gli argomenti a sostegno della manovra e quali le critiche mosse dagli avversari?
Uno dei motivi a sostegno di tale richiesta è l'idea che le regioni più ricche del nord vedano una parte significativa delle risorse regionali impiegate a finanziare una spesa pubblica inefficiente e improduttiva nel resto del paese. Le politiche per il Mezzogiorno finora non hanno dato i frutti sperati, le risorse vengono elargite in forma assistenziale e il regionalismo differenziato potrebbe fornire l'occasione per rendere più efficace il supporto dovuto al Sud del nostro Paese. Tali regioni richiederebbero di trattenere le somme da Irpef, Iva e Ires per gestirle in autonomia, di avere quindi una maggiore autonomia fiscale e nella gestione di materie quali l'istruzione, la sanità, le infrastrutture e l'ambiente. Temi che presentano già ora un forte divario tra nord e sud e che un'eventuale decentramento porterebbe ad un peggioramento della situazione per il meridione.
È proprio da questo punto che partono le critiche mosse contro questa manovra. Dal rapporto del 2020 del centro studi Eurispes si evince che: se della spesa pubblica totale, si considera la fetta che ogni anno il Sud avrebbe dovuto ricevere in percentuale alla sua popolazione, emerge che, complessivamente, dal 2000 al 2017, la somma corrispondente sottrattagli ammonta a più di 840 miliardi di euro netti (in media, circa 46,7 miliardi di euro l'anno). A rafforzare questa tesi ci sono anche i dati dello Svimez, Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, che non fanno altro che confermare l'esistenza già ora di un divario interregionale, evidenziando che il Nord riceve una percentuale della spesa pubblica molto superiore al Sud: circa 4 mila euro pro capite in più.
Con l'attuazione di tale manovra si avrebbero delle conseguenze che andrebbero ad accentuare le divergenze nella vita dei cittadini nelle diverse regioni, poiché più soldi trattengono, meno sono le risorse accentrare e quindi meno risorse redistribuite al sud, comportando un peggioramento continuo del meridione. Potenzialmente avremmo 20 sistemi scolastici e sanitari diversi, si andrebbe così perdendo l'unità nazionale, la garanzia di uno stesso trattamento in qualsiasi regione ci si trovi. Date le disuguaglianze preesistenti e che verrebbero accentuate, si costituirebbero idealmente dei cittadini di serie A e altri di serie B. Cittadini che possono godere di servizi pubblici più efficienti: in modo esemplificativo si può dire che un ragazzo di Milano avrà accesso ad un'istruzione molto più funzionale e che gli garantirà un futuro lavorativo certificato grazie alle ottime connessioni con il mondo del lavoro. Un anziano di Verona avrà accesso alle cure molto più facilmente e con risultati più validi, basti pensare che ci si ammala di cancro di più al nord ma si muore più al sud.
Nel Meridione si avrebbero cittadini che assisteranno ad un peggioramento delle strutture sanitarie,
infrastrutturali, ad una ancora più scarsa rete dei trasporti, già di loro carenti e malate e che non faranno altro che peggiorare esponenzialmente. Si avrebbe ancora di più uno spopolamento del Mezzogiorno, i giovani sempre più costretti ad andarsene al nord o abbandonare il Paese per un posto di lavoro, per ricevere delle cure o per studiare. Non si farebbe altro che aumentare le tensioni sociali e il sottosviluppo economico e culturale del sud Italia, portando così alla morte del meridione, gravando su tutto il Paese.
Che fine fanno i principi di uguaglianza e pari opportunità? E l'interesse generale, la funzione della
Repubblica, i diritti civili e quelli sociali? Se dovesse passare il provvedimento, l'Italia "differenziata" non sarà più una Repubblica democratica fondata sul lavoro e non sarà più compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona. Se si ha davvero l'idea di un'Italia unita e di un progresso economico, culturale unico e compatto di tutto il paese, certamente questa è la strada sbagliata.
L'attuazione di questa manovra porterebbe solo ad accentuare il dissesto economico e politico, già esistente, tra nord e sud, generando una disgregazione dell'unità nazionale che non farebbe bene a nessuno. Sarebbe meglio pensare ad un vero progetto di sostegno e sviluppo del Mezzogiorno, con investimenti nel territorio che porterebbero benefici futuri a tutto il paese.

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