Bandito il nero a Hong Kong. Ma le proteste continuano

11.11.2019

Di Anna Providenti


La Cina ha recentemente vietato l'export verso Hong Kong di capi2 d'abbigliamento e di tessuti di colore nero. Niente più magliette, cappellini, tute, scarpe, calze, mutande, felpe, guanti neri ad Hong Kong. Sembra una barzelletta : Xi Jinping si sveglia e decide che il nero non va più di moda, ma solo ad Honk Kong - lui può ancora metterlo. Purtroppo o per fortuna il divieto non è stato solo una scelta di stile di Xi ma riguarda una storia che si trascina ormai da questa estate, per quanto la stampa internazionale stia cercando di farla passare come risolta, e che trova le proprie radici in un conflitto storico, tra filo-cinesi e non, caratterizzante la scena politica honkonese. Per capire questo conflitto, è necessario fare un passo indietro.

Hong Kong è stata, con una breve pausa giapponese, una colonia britannica fino al 1997, anno in cui è passata sotto il dominio cinese. In particolare Hong Kong è, dal 1997, una regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese. Questo è stato dovuto all'evidente differenza culturale e sociale dell'ex-colonia britannica rispetto al resto della Cina. La teoria politica alla base è quella del "un paese, due sistemi", soluzione proposta e accettata nell'ambito delle trattative sino-britanniche, grazie alla quale si è potuto concedere ad Hong Kong un grande livello di autonomia, pur rimanendo sotto la sovranità cinese. In questi 22 anni di accordo Hong Kong è cresciuta molto, ha sviluppato un sistema economico capitalistico e ha garantito sempre più diritti e libertà ai propri cittadini. Ma l'accordo ha una scadenza, ed ecco la prima paura dei protestanti dell'ultimo periodo. Nel 2047 infatti l'ex colonia dovrebbe tornare integralmente a far parte della Cina continentale, cosa che Hong Kong non ha nessuna intenzione di fare. Il clima si è scaldato fin da subito: nel 2002 sono iniziate le prime proteste democratiche che si opponevano ferocemente a una proposta di legge che avrebbe vietato atti di tradimento e sovversione contro il governo cinese. Da li non si sono più fermate. Qualcuno avrà impressa nella mente l'immagine di migliaia di ombrelli multicolore che nel 2014 si sono riversati nelle strade del porto profumato, (letteralmente Hong Kong), per chiedere il suffragio universale nell'elezione dei propri leader sotto l'urlo "un uomo, un voto". Istanze pacifiche di democrazia, provenienti per lo più da giovani che sono state accolte dal governo con dura repressione. Con il sistema attuale il capo dell'esecutivo viene eletto solo in parte con i voti provenienti dai cittadini: il resto dei voti viene infatti da un comitato di Grandi Elettori (c.a. 1200 membri) composto da rappresentanti dei vertici economici e notoriamente allineato sulle posizioni del governo cinese, motivo per cui tutti i governatori fino a ora hanno rispettato i diktat di Pechino.

Tornando a noi, il 31 Marzo di quest'anno i cittadini sono scesi ancora una volta per le strade in migliaia contro una proposta di legge che avrebbe consentito l'estradizione in Cina per reati gravi. La proposta è stata già sospesa più di due mesi fa, ma le proteste non si sono fermate trasformandosi ancora una volta in un'opposizione all'ingerenza sempre più accentuata di Pechino nell'autonomia di Hong Kong e in istanze di democrazia, libertà e diritti. Le proteste non hanno visto periodi di pausa e gli interventi della polizia sono diventati a poco a poco sempre più violenti. Il momento in cui i manifestanti sono riusciti ad ottenere la più alta visibilità internazionale è stato quello dei mesi di agosto e settembre, durante i quali la protesta si è spostata nei pressi dell'aeroporto. Tramite sit-in di intere settimane partecipati da più di 5.000 persone, le proteste hanno bloccato uno degli aeroporti più importanti del mondo per circa due mesi. Nelle ultime settimane la tensione non ha smesso di crescere con un susseguirsi di eventi e dichiarazioni che lasciano poco spazio alla speranza di una soluzione vicina. Il 4 Ottobre la governatrice Carrie Lam ha posto il divieto di usare maschere per coprirsi il volto durante le manifestazioni, legge che accomuna i protestanti honkonesi ai loro colleghi francesi in giallo. Le maschere servono, in entrambi i casi, a evitare di essere riconosciuti dalle autorità, ma anche per proteggersi dai gas lacrimogeni e dai proiettili di gomma sparati dalla polizia. I protestanti hanno risposto alla legge scendendo in piazza e indossando le maschere vietate rischiando, secondo la legge in questione, tre anni di carcere e multe salatissime. Hanno chiesto la revisione della legge da parte dell'alta corte, che il 6 ottobre ha confermato il divieto. Ma la governatrice, non contenta, l'8 Ottobre ha dichiarato di essere aperta a un intervento diretto della Cina. La crisi intanto è arrivata in America, dove martedì 15 ottobre la Camera dei Rappresentanti ha approvato tre diversi atti normativi a sostegno delle manifestazioni pro democrazia ad Hong Kong : "The Hong Kong Human Rights and Democracy Act". La Cina, in risposta, ha espresso "forte indignazione" nei confronti dell'America. Il 21 Ottobre, pochi giorni fa, è stato emanato il divieto cinese di export di capi di abbigliamento e di tessuto di colore nero, la "scelta di stile" di cui sopra, che punta a disincentivare la partecipazione alle manifestazioni, perché il colore scelto dai manifestanti è appunto il nero. Ma Xi Jinping non si è fermato qui. Il 23 Ottobre, ha dichiarato di volere le dimissioni della governatrice-burattino Carrie Lam, non più in grado di gestire le proteste, sempre più violente. Nello stesso giorno è stata invano ufficialmente ritirata la legge sull'estradizione, per la quale erano iniziate le proteste quest'estate. Invano perché le proteste non si sono fermate, esattamente come non si erano fermate due mesi fa di fronte alla sospensione della legge.

Il 5 Novembre lo studente 22enne Chow Tsz-lok cade dal terzo piano di un parcheggio dentro il quale si stavano svolgendo scontri tra polizia e manifestanti. Secondo alcuni testimoni gli agenti avrebbero rallentato i soccorsi.

La domenica appena trascorsa è stata la 29esima domenica di proteste: il corteo si è svolto in una delle zone più turistiche della città con l'obiettivo di sensibilizzare il più possibile la stampa internazionale. Anche in questo caso la polizia è intervenuta con gas lacrimogeni, pompe ad acqua e proiettili di gomma sparati sui manifestanti. Per concludere, è chiaro che le proteste della regione amministrativa speciale di Hong Kong non sono assolutamente sul punto di finire. Le rivendicazioni si possono riassumere in una richiesta di democrazia: tra le altre richieste ricompare ora il suffragio universale già chiesto nel 2014, in funzione nettamente anticinese. I manifestanti, insieme al suffragio, chiedono al governo di smettere di definire le proteste come sommosse o atti di terrorismo e di intraprendere al più presto un'indagine indipendente sull'uso della forza da parte della polizia. L'ultimo punto aggiunto è la liberazione incondizionata di tutte le persone arrestate per aver partecipato alle manifestazioni.

Nella mattina del venerdì appena trascorso è morto Chow Tsz-lok, la sera i manifestanti hanno sfilato in commemorazione. E' il primo caso di morte confermata per gli scontri tra dimostranti e polizia. Il tragico esito, reso noto dalla Hospital Authority, ha scatenato flah mob e sit-in di solidarietà da parte degli studenti. Questa mattina di nuovo si sono presentati violenti scontri tra polizia e manifestanti e sembra che due persone siano state colpite da colpi di pistola sparati dagli agenti. Entrambi, secondo i media locali e i filmati postati sui social, sono stati portati via in ambulanza ancora coscienti. Uno dei due è stato raggiunto al torace. Gli episodi sono avvenuti poco dopo le 7:00 locali (mezzanotte in Italia).

Ad aumentare la preoccupazione dei cittadini di Hong Kong è la "data di scadenza" dell'autonomia, il 2047, anno in cui Hong Kong dovrebbe tornare sotto il dominio cinese, con un trasferimento che oltre a coincidere con un inimmaginabile abbassamento dei livelli di democrazia, libertà e diritti, porterebbe anche a un danno da un punto di vista prettamente economico ad Hong Kong. Continuando in questa direzione non stupirebbe che il prossimo obiettivo, ambizioso, sia proprio quello di andare a modificare direttamente l'accordo coloniale sino-britannico del 1997, l'accordo del "una Cina, due sistemi", con il quale Honk Kong si è potuta tenere un alto livello di autonomia, crescere in un sistema capitalistico e garantire diritti e libertà ai propri cittadini.

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