Coronavirus: quanto ha cambiato le nostre vite
di Tommaso Aiello
Il mondo al tempo del coronavirus è molto diverso da quello che conoscevamo fino a qualche mese fa. Nessuno spostamento, nessuna stretta di mano, nessuna attività sportiva, niente cinema, niente shopping, nessuna uscita con gli amici, niente sigarette per fare due chiacchiere, un niente che è diventato il protagonista delle nostre giornate, un niente che ha svuotato le nostre vite e paradossalmente le ha riempite, fino all'orlo. Quello che prima ci sembrava scontato, semplice o rimpiazzabile facilmente ora non lo è più. Per molto tempo la società capitalistica, consumistica, digitalizzata ci ha catapultato piano piano, in modo silente, quasi subdolo, in una dimensione di vita frenetica , velocizzata, senza pause. Abbiamo perso l'attenzione per le piccole e semplici cose che rendono le giornate e il passare irrefrenabile del tempo diverso, bello, divertente. Eravamo quasi arrivati, o forse ci eravamo definitivamente arrivati, a credere che la tecnologia potesse sostituire tutto, anche le persone. Che bisogno c'era di uscire per veder una persona dal vivo, c'è Whatsapp video; che bisogno c'è di andare allo stadio, c'è Sky; che bisogno c'è di andare al cinema, abbiamo Netflix. Era diventato tutto un "non è necessario farlo, posso farlo in una maniera più comoda e semplice", come se tutto ciò che era sostitutivo fosse migliore dell'originale. L' illusione che tutto fosse diventato superfluo e sostituibile aveva provocato un annebbiamento della nostra vista progressivo e l'immergerci sempre di più nella frenesia aveva fatto diventare quell'annebbiamento una completa cecità. Lo scrittore portoghese Jose Saramagò ha raccontato nel suo celebre romanzo "Cecità", appunto, un'umanità in crisi, impaurita, incapace di reagire contro un nemico non identificabile, invisibile, da non poter distruggere né con le armi né con la scienza, il nemico era una cecità che aveva accecato l'intera specie umana per far emergere quell'istinto di sopravvivenza egoistica che ci avvicina di più agli animali che agli essere umani. Invece in questo periodo sembra accadere il contrario di quello descritto dal premio Nobel portoghese. La situazione di emergenza e necessità causata dal coronavirus ha temporaneamente fermato quell'ondata di egoismo individualista che aveva travolto la nostra società fino ad annegarla. Nel nostro paese il pensiero comune si stava focalizzando sempre di più sull' identificare tutti noi come "italiani", un'aggettivazione non volta a delineare una cornice culturale, storica, letteraria, politica che ci identifica come popolo e che ci rende orgogliosi di appartenere a questo nazione, bensì un aggettivo la cui funzione era quella di difenderci dalle minacce politiche provenienti dal mondo intero, di chiuderci all'interno dei nostri confini, un essere italiani che somigliava sempre di più ad una gabbia e non a quel trampolino di lancio verso il mondo intero quale dovrebbe essere. Un ramo della politica si è nascosto sotto lo scudo degli "italiani", facendo un richiamo quasi ossessivo a questa parola, per mandare il messaggio che gli italiani andavano difesi, protetti, tutelati. Protetti dai flussi migratori, difesi dagli eurocrati, tutelati dalle menzogne degli esperti e delle case farmaceutiche. Si è arrivati ad una politica svuotata dei suoi caratteri fondamentali per essere riempita da parole senza contenuto, decontestualizzate, usate male. In questi giorni così difficili per il nostro paese, la parola è tornata ad assumere la funzione di epicentro della comunicazione politica seria, attendibile e preparata che aveva perso per troppo tempo. Ora gli italiani pretendono una classe politica che usi parole sincere, corrette, messe al punto giusto e non usate per nascondere qualcos'altro. L'uso della parola in questo momento storico non può essere strumentalizzato per creare polemiche o litigi, le parole adesso devono essere usate con attenzione, non si può sbagliare e ne abbiamo avuto l'esempio nelle scorse settimane quando l'uso sbagliato delle parole da parte della presidente della banca centrale Europea, Christine Lagarde, ha fatto abissare i mercati. Gli italiani sembrano essersi stancati di una politica vuota, ora esigono contenuti, proposte, parole ricche di significato, chiare e non meri strumenti demagogici. L'emergenza ha fatto riacquisire forza e certezza alla parola degli esperti. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una sottovalutazione delle conoscenze, delle capacità acquisite attraverso anni e anni di studio, il sapere non era più all'apice della piramide, il parere degli esperti lasciava spazio ad una concretezza raggiungibile con la pratica e non con lo studio. Una sottovalutazione che ha portato progressivamente ad un deprezzamento del lavoro degli scienziati, che operano in condizioni lavorative precarie e sottopagate. Oggi si è riscoperto il valore dello studio, del sapere ottenuto sui libri, della conoscenza che è fondamentale nella nostra società e che diventa necessaria nelle situazioni di emergenza. I medici, gli infettivologi, gli intensivisti, gli infermieri, in questa guerra sono i soldati chiusi nelle trincee degli ospedali a cercare di fermare l'avanzata di questo nemico invisibile. Nessuna parola basterebbe per ringraziare loro per il lavoro, il coraggio ed il sacrificio che stanno dimostrando in questo periodo. L'unico modo di poter dire grazie a queste persone è quello di non dimenticare. Facciamo tesoro di questi momenti per ricordare, quando tutto sarà finito, dell'importanza della sanità pubblica, del ruolo fondamentale che il sistema sanitario nazionale ha nella nostra vita, per il nostro paese e ricordiamo quanto sia qualificato e capace rispetto a quello degli altri paesi nel mondo. Una volta finita la crisi, l'errore più grande sarà quello di non pretendere dalla politica più investimenti nella sanità, in quella pubblica e non quella privata; interventi sulle procedure delle lauree in medicina e un maggior numero delle borse di studio per la specialistica; un piano di sviluppo per risanare la sanità al meridione, disastrata da anni di commissariamento e chiusura di reparti; finanziamenti alla ricerca, assunzioni; interventi di modernizzazione sulle strutture e niente più sprechi; aumento degli stipendi; modifiche al sistema dell'intramoenia. Il sistema nazionale sanitario italiano ha dimostrato a tutto il mondo di essere un'eccellenza unica, il virus ci ha fatto aprire gli occhi davanti a così tanta capacità, facciamo sì che i nostri occhi rimangano aperti e vigili sulla sanità per non permettere più politiche di depotenziamento, definanziamento e svuotamento del SSN. Con gli stessi occhi vigili si può osservare quanto il virus abbia causato una parificazione sociale senza eguali. Di fronte al coronavirus non esiste il ricco e il povero, il politico e l'operaio, l'attore e lo spettatore, siamo tutti uguali, tutti bersagli posti sullo stesso livello. Tutti dobbiamo mettere in atto le stesse misure precauzionali per non essere infettati, nessuno si può salvare in nome di una posizione sociale od economica più elevata. Siamo tutti uguali e nudi davanti al virus. Come nuda è l'umanità che si sta mostrando nei confronti di chi sta lottando e nei confronti dei più deboli. L'egoismo individualista ha lasciato spazio ad un sentimento di solidarietà e di altruismo smarrito da qualche tempo. Si vuole proteggere i più deboli ed in questo momento sono gli anziani. Loro non sono persone sacrificabili, elementi che ormai hanno dato e che ora possono anche andarsene. Gli anziani sono persone come tutte le altre, hanno una famiglia, dei nipoti, degli affetti, degli amici, hanno dei sentimenti fortissimi che li legano a questa vita più di quanto noi possiamo immaginare. Sono delle risorse umane fondamentali che non si possono sacrificare a differenza di quanto sostenuto, in un primo momento, dal primo ministro inglese Boris Johnson. Il coronavirus non solo sta causando un numero di vittime elevatissimo ma causa una morte sentimentalmente atroce. Chi muore, muore da solo. Nessun familiare vicino, nessun figlio a tenere la mano del proprio padre prima che se ne vada, nessuna parola di conforto, soltanto una videochiamata per salutare per sempre gli affetti di una vita. Una solitudine anonima e silenziosa che rende la morte straziante, non umana. Questa guerra finirà, dopo aver stroncato migliaia storie di vita, dopo aver cambiato il sistema politico ed economico dell'Europa, dopo aver mutato per sempre il nostro modo di vedere il mondo. Prima di ricominciare le nostre vite veloci e prima di permettere al mondo umano di riprendere la velocità che aveva prima, fermiamoci, stiamo un attimo ancora fermi, da soli, riflettiamo sugli elementi che ci avevano resi ciechi, individualisti e frenetici. Fissiamo per l'ultima volta un punto nel vuoto così da rendere ricordi indelebili gli eventi di questi mesi, un monito che deve spingerci a non commettere gli errori fatti nel recente passato e di guardare avanti con occhi diversi, occhi di chi ha riscoperto il bello delle piccole ed autentiche cose che riempiono quel niente distruttivo messo alla luce dal coronavirus.