Cosa significa votare No al Referendum

17.09.2020

di Eugenio Chemello

Il 20 e il 21 settembre si vota la riforma costituzionale, promossa dal Movimento 5 stelle e votata, in momenti diversi e con non poche contraddizioni, da tutte le forze politiche. Se dovesse vincere il sì, come è probabile stando ai sondaggi, verrà ridotto il numero dei parlamentari per mero taglio orizzontale: 400 deputati al posto di 630, 200 senatori invece degli attuali 315.

I sostenitori della riforma dicono che questa è necessaria perché il nostro è uno dei parlamenti più numerosi d'Europa, a confronto con quelli di Germania, Francia, Inghilterra. Ma i numeri di cui si tiene conto sono solo quelli delle camere basse degli altri paesi: per fare un esempio, in Francia, fra Senato e Assemblea Nazionale, i rappresentanti eletti sono 925, venti in meno dei nostri.

È vero d'altro canto che, mantenendo il bicameralismo paritario, i parlamentari eletti e legiferanti nel nostro paese verrebbero ad essere 600 in totale, 1 ogni 100.000 abitanti, perfettamente in linea con la media europea ( e qui sono i sostenitori del no che "falsano" il numero, parlando di 1 deputato ogni 150.000 abitanti: non che sia sbagliato, ma i senatori hanno lo stesso identico peso dei deputati, quindi nel nostro caso vanno sommati).

Tuttavia, a differenza delle altre grandi democrazie europee, essi saranno divisi in due diverse camere, attraverso due diverse leggi elettorali. Ora, il problema si porrà, in caso di vittoria del sì, proprio in termini di rappresentatività sul territorio, non di numeri assoluti: con soli 400 eletti alla Camera, invece dei 600 che si avrebbero ipoteticamente abolendo il bicameralismo paritario e concentrando i parlamentari legiferanti in una sola camera, i collegi elettorali saranno significativamente più ampi. La conseguenza è che si renderanno necessarie risorse finanziarie maggiori per le campagne elettorali e che si alzerà la soglia naturale di sbarramento. Tutto ciò riduce le possibilità di candidati indipendenti e delle minoranze con scarse possibilità economiche, favorendo invece i partiti più grossi. Non esattamente ciò che ci si aspetta da una legge "anti-casta".

Altro argomento a sostegno del sì è quello della maggiore efficienza: meno parlamentari lavorano meglio e più velocemente. Ma questo dell'efficienza è un risultato che si otterrebbe riformulando i processi istituzionali, rivedendo l'assetto delle commissioni e dell'Ufficio di Presidenza, e magari superando il bicameralismo perfetto. Tutto ciò invece non rientra nel progetto di riforma, non si fa cenno alla revisione dei regolamenti parlamentari (se non come ipotesi futura su cui non c'è alcun accordo politico) o alla ristrutturazione dell'impianto bicamerale, esso è fossilizzato solo sul simbolico taglio numerico delle tanto odiate poltrone: in questo modo ci si troverà ad avere meno persone per svolgere gli stessi compiti di prima, dovendo ad esempio accorpare alcune commissioni. Da quando in qua si migliora l'efficienza solo con i tagli orizzontali? Se la sanità è in crisi, riduci i medici? Se la macchina della giustizia è in panne, diminuisci i magistrati?

Si promette allora che con la riforma, i parlamentari, essendo di meno, siano selezionati e controllati meglio. Dati alla mano, un terzo degli eletti oggi è assenteista oltre ogni tollerabilità. Dunque, con un calcolo tanto semplice quanto illusorio e ingiustificato, si conclude che tagliando un terzo del Parlamento si escludano proprio i "fannulloni". Come se i parlamentari di bassa qualità oggi finiscano a Montecitorio perché ci sono tanti posti da riempire.

L'unico scenario davvero probabile è un altro: con meno posti a disposizione, le liste elettorali saranno ancora più serrate, i gruppi parlamentari più stretti e compatti, e a candidarsi saranno solo i fedelissimi di partito. Ancora una volta, ad uscirne rafforzati e non certo indeboliti sono proprio i partiti maggiori. E forse si spiega perché una riforma "anti-casta" sia stata votata dal 97% del Parlamento.

Infine, il vero cavallo di battaglia dei 5 Stelle è il risparmio sulla spesa pubblica: meno parlamentari uguale meno stipendi. La cifra sventolata è di centinaia di milioni di euro risparmiati , ma si riferisce all'intera legislatura e non fa i conti con le tasse; si tratta di 50 milioni all'anno, 57 secondo le stime più precise. Ossia lo 0,007% della spesa pubblica italiana, poco meno di un euro a persona. Nulla che valga la pena commentare.

Si vota no, quindi, guardando al merito della riforma, essa è in parte dannosa, ma soprattutto è inutile, non risolve e probabilmente accentua i problemi istituzionali, sul piano e dell'efficienza e della qualità del Parlamento.

Ma un voto tecnico e apolitico non esclude un voto politico. Rafforzato, quest'ultimo, proprio dal fatto che la riforma ha avuto il favore di tutti i maggiori partiti del paese: il taglio dei parlamentari è poco più di uno specchietto per le allodole, l'ennesima finta soluzione a buon mercato, cambiare tutto insomma, perché nulla cambi, ed è figlia di un dibattito politico arido e inquinato come non mai. E l'elettorato italiano dovrebbe dichiararsi ufficialmente stanco di questo modo di fare politica, invece di dichiararsi stanco della politica.

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