Il diritto allo studio in Italia è un vero diritto?
Di Michela Lamorte
Il diritto è una scienza sociale che regola i rapporti
interpersonali e le relazioni tra i cittadini. Il termine 'diritto' indica, in senso oggettivo, l'insieme delle norme
giuridiche che regolano una disciplina o vietano uno specifico comportamento.
Analizzando, invece, il termine dal punto di vista soggettivo, questo può
denotare una pretesa o facoltà tutelata dalla legge. Questo modo di vedere
il diritto potrebbe contrastare con la morale e la religione, in quanto, la
prima pone in rapporto l'uomo con se stesso, l'altra l'uomo con Dio. Il
diritto riguarda l'interazione tra molteplici soggetti ponendo l'uomo in
rapporto con gli altri uomini e per questo può essere definito plurilaterale;
difatti è la norma, nucleo imprescindibile, che regola la società attuale.
Il diritto allo studio in Italia è soggettivo e tutti i cittadini ne dovrebbero essere titolari. Questo diritto si riferisce all'accesso a tutti i livelli formativi. Gli organi istituzionali, sulla base di questo diritto, riconosciuto primariamente nella Costituzione, (nel combinato disposto degli articoli 3, 33 e 34), dovrebbero renderlo un diritto tangibile tramite azioni concrete quali: borse di studio per i meritevoli, agevolazioni per chi per aver garantito il diritto deve spostarsi dal luogo di residenza o altri bonus e incentivi per i meno abbienti.
Il diritto allo studio è anche uno dei diritti fondamentali e inalienabili della persona sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che recita: "Ognuno ha diritto ad un'istruzione. L'istruzione, dovrebbe essere gratuita, almeno a livelli elementari e fondamentali. L'istruzione elementare dovrebbe essere obbligatoria, quella tecnico-professionale generalmente fruibile e l'istruzione superiore dovrebbe essere accessibile sulle basi del merito." Da tale citazione si evince, come del resto anche nel nostro testo Costituente, che questo tema deve prescindere dalle condizioni socio-economiche di partenza del soggetto, in modo tale che sia offerta a tutti la possibilità di frequentare centri scolastici di vario grado e di soddisfare e raggiungere i propri fini ed interessi. Uno dei punti salienti per la formazione e la crescita nelle comunità scolastiche è il rapporto tra allievi e docenti incentrato sulla pari dignità e sulla diversificazione dei ruoli.
Un aspetto che pian piano sta smantellando l'assetto scolastico è quello della dispersione, correlata all'evasione e all'insuccesso percepito. Il nodo focale di questi annosi problema si suddivide su due livelli: sociologico ed economico. Alla radice del fenomeno della dispersione vi è sociologicamente ed assiologicamente la scuola nel senso più ampio del termine, intendendola come l'intero sistema educativo. L'abbandono scolastico, che si sovrappone alla dispersione, è causato da una mancata fiducia sui propri mezzi, e sulla visione fortemente negative del proprio futuro. La demotivazione sul futuro comporta una sorta di banalizzazione del presente, che perde senso agli occhi dell'adolescente. Umberto Galimberti ci ricorda come la scuola sia "causa prima di devianza, rispetto a tutte le cause seconde che la sociologia vede alla base del disagio giovanile; la scuola si offre con quel volto irresponsabile di chi si tiene fuori dai problemi connessi ai processi di crescita e, limitando consapevolmente il suo spazio operativo, manifesta quella falsa innocenza che l'oggettività del trattamento (profitto-giudizio) è sempre disposta a concedere a chi non si prende cura della soggettività dei giovani, perché mettervi le mani non garantisce di poterle tirare fuori davvero pulite e disinfettate". Le scuole di oggi, piene di nozioni e di concettualismi, perdono sempre più di vista l'obiettivo assoluto: formare la persona. Formare esseri umani pensanti. La vertenzialità di questa analisi indirizza verso una didattica personalizzata, stimolante, non basata sui numeri, sui voti, ma su certificati di promozione in cui emergono i punti di forza e spunti per arricchire la formazione dello studente, che sostituiscano le pagelle. Ricostruire un'idea di scuola concreta, partendo dall'analisi dell'attuale posizione studentesca ed ossificandola con la rivalutazione e la qualificazione dello studente, esteriorizzandone l'energia vitale. In uno Stato in cui molte regioni del sud presentano come grosso problema lo spopolamento giovanile, non possiamo tacere sul concetto di futuribilità. Chi presenta carenze conoscitive, va aiutato, stimolato, accompagnato, va ricercato il suo potenziale per poi esprimerlo e massimizzarlo. Basti pensare alle odierne scuole professionali, ormai diventate scuole vuote e con pochissimi contenuti che professionalizzano poco e nulla. Dovremmo guardare ad altri sistemi, in cui lo studente, già dai banchi di scuola, può costruire la propria identità lavorativa per presentarsi al mercato del lavoro come lavoratore già perfettamente formato e subito utile alla società. La scuola odierna riflette il sistema sociale dominante: chi parte da una posizione di vantaggio, va avanti, il più "debole" viene lascato ai margini e abbandonato. Dovremmo educare alla cooperazione piuttosto che alla competizione, cercare di valorizzare le differenze di ciascuno, invece di promuovere l'omologazione. Dovremmo insegnare ai giovanissimi come ragionare per ottenere risultati. Ma soprattutto bisognerebbe percorrere nuove strade, nuovi metodi di apprendimento, sperimentando soluzioni alternative. Andrebbe costruito un futuro diverso dal presente e dal passato, d'altronde solo gli stolti fanno le stesse cose aspettandosi risultati diversi. L'istituzione scolastica ha il dovere di assecondare le inclinazioni personali di ogni studente attribuendoli la potenzialità di sviluppare idee, temi liberi e iniziative autonome. La realizzazione e lo sviluppo culturale dello studente devono essere servizi pubblici finanziati dallo stato, che apre la porta al mondo del lavoro. Dovremmo ripensare il più velocemente possibile l'attuale sistema che produce e incoraggia la fuga 'dei cervelli' dal sud al nord, secondo un'immigrazione selettiva. Per contrastare il piano neoliberista è utile attuare una sagoma attiva e democratica che consenta una distribuzione egualitaria della ricchezza e l'annullamento della gerarchizzazione. I dati forniti dall'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) affermano chel'Italia investe solo il 3,6 % del PIL in istruzione, molto meno della media europea.
Uno dei pilastri della scuola pubblica è considerato Don Lorenzo Milani. Il suo processo educativo era rivolto alle classi popolari e il suo fine era di eliminare l'analfabetismo ormai diffuso in gran parte del paese nel dopoguerra, in un Paese che aveva visto crescere ai massimi livelli le disuguaglianze economiche e sociali. Voleva creare una formazione completamente libera da ogni forma di punizione corporale e creare un rapporto intersoggettivo con gli studenti. Oltre al lavoro di questa persona illuminata negli ultimi due secoli sono state fatte diverse azioni in Italia per migliorare il sistema educativo. La legge Coppino, che nel 1877 introdusse l'obbligo scolastico per i primi tre anni di scuola e portò fino a 5 gli anni di studio delle scuole elementari e la legge Casati, che nel 1861 conferì un assetto organico all'intero sistema scolastico definendone cicli, programmi e apparato amministrativo diedero il là a una forte stagione riformatrice. Oggi quella stagione purtroppo sembra arenatasi. Eppure il diritto allo studio doveva essere un pilastro fondante della nuova Repubblica, lo si evince chiaramente nell'articolo 34 della Costituzione che riporta: "La scuola è aperta a tutti, l'istruzione inferiore impartita per almeno otto anni è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi." La curiosità e l'interesse sono le basi per la sensibilizzazione e lo sviluppo del pensiero critico al fine di comprendere la realtà che ci circonda. Questo non può essere fatto attraverso uno studio esclusivamente nozionistico, sempre più diffuso, ma per poter costruire uno Stato all'avanguardia, innovativo e al passo con i tempi, occorrerebbe "imparare ad imparare".
Lo studio dell'educazione alla cittadinanza ha sempre consentito uno sviluppo civile e la circoscrizione di alcuni temi incentrati sulla lotta alle disparità. Aldo Moro, politico e giurista italiano fu il primo a proporre l'educazione civica come disciplina autonoma nell'intero percorso di studi, perché essa accresce il senso di appartenenza alla comunità dei cittadini e li indirizzasse ad affrontare temi rilevanti e attualmente indispensabili come l'educazione all'ambiente o la lotta allo spreco alimentare. Solo con una cittadinanza attiva e colta si può arrivare a costruire una società migliore e più democratica. Attraverso l'amore per la cultura possiamo tenere ben accesi i motori che ciascuno di noi deve accendere e alimentare. Come uomini, cittadini, studenti o professionisti non dobbiamo mai perdere la voglia di crescere e di migliorare. Non possiamo vivere in una società che reputa l'istruzione costosa. L'istruzione dovrebbe essere intesa come un investimento: il più grosso e fruttuoso che una società possa fare.
"L'alternanza scuola-lavoro" e le ultime riforme fallimentari difficilmente produrranno tutto questo. Va aperta una grande discussione a livello politico e di opinione pubblica che riveda profondamente il nostro sistema formativo. Un diritto, per essere vero, dev'essere concreto e garantito, non solo scritto su carta ed enunciato. Guardiamo ad esempio il sistema scolastico finlandese dove non esistono le canoniche classi come le intendiamo noi, al contrario gli alunni sono divisi per interessi e livello di apprendimento. Agli alunni viene insegnato a conoscere sfruttando al meglio le loro proprie capacità; si giudicano la volontà di apprendimento e l'impegno premiando non i più bravi in senso assoluto, ma i più assidui e volenterosi. La scuola è uno specchio sociale e per funzionare ha bisogno che l'intero assetto sia integro. Iniziando a sensibilizzare le menti verso alcuni temi e chiedendo alla politica italiana una riforma strutturale si potranno intravedere le basi per un futuro prospero nel nostro Paese.