Il ritorno di Silvia Romano. Uno studio dell'odio.
di Anna Providenti
Mi concedo il lusso di scrivere della vicenda di Silvia Romano a distanza di poco più di due settimane dal suo arrivo all'aeroporto di Ciampino. Lo considero un lusso perché due settimane, nella frenesia della nostra informazione, sono più che sufficienti per permettermi una prospettiva più adeguata, lontana dal clamore mediatico. Da due settimane Silvia è a casa, con la sorella e i genitori, riabituandosi alla sua libertà. Solo ora, con attenzione, la stampa si sarebbe potuta avvicinare al caso, chiedendo permesso. Solo ora, ma forse neanche, sarebbe stato il caso di farle domande, di andare sotto casa sua, di fare congetture sulla sua storia. Invece non è andata così : ora silenzio, prima caos.
Vediamo i fatti. Il 9 Maggio arriva la notizia della liberazione di Silvia sui social che nel giro di poco tempo pullulano di post esultanti, tanta gioia e commozione per lei, scrive chi aspettava da tanto questo risultato, scrive chi non aveva mai sentito parlare di lei se non la sera prima a Propaganda live, scrivono tutti, da destra e sinistra. Silvia Romano, milanese 25enne cooperante della Onlus marchigiana Africa Milele, rapita durante un periodo di volontariato in Kenya il 20 Novembre 2018, dopo 545 giorni nelle mani di Al-Shabab (cellula somala di Al-Qaida, nome completo Harakat Al-Shabab al-mujahidinal, movimento dei giovani guerriglieri armati ), è stata liberata. Arrivata all'aeroporto di Ciampino, accolta dalle più alte cariche statali e dalla sua famiglia, sorride, mostra il viso, ringrazia, tocca i gomiti e abbraccia teneramente mamma, sorella e papà. Veste un Hijab, velo islamico, verde smeraldo che le copre i capelli e il corpo, dichiara : "sto bene, per fortuna, sto bene, sia fisicamente che mentalmente, grazie, ora voglio solo passare tanto tempo con la mia famiglia e grazie, davvero". Spiega di essersi convertita liberamente all'Islam e che ora il suo nome è Aisha.
Questa notizia e la visione di lei in Hijab, disturbano, facendo svanire l'entusiasmo e la gioia e lasciando il posto a sfrenati e violenti attacchi da tastiera. Sfoghi, probabilmente di chi da troppo tempo, data l'emergenza covid, non si concedeva del sano odio social. "Schiaffo all'Italia, islamica e felice, Silvia l'ingrata", Sallusti decide di aprire così il Giornale il giorno successivo, le voci, gli insulti, gli attacchi personali, le minacce viaggiano senza freni. C'è chi è pronto a giurare che sia stata costretta a convertirsi, chi la definisce neo-terrorista perfino alla Camera dei Deputati, Sgarbi ne chiede l'arresto e senza ripetere l'indicibile forse è sufficiente dire che la procura di Milano ha dovuto aprire un'inchiesta sui messaggi minatori arrivatele. Tutto per la conversione di una ragazza nata e cresciuta in un paese laico, un paese che sposa costituzionalmente valori di libertà, pieno sviluppo della persona umana, uguaglianza e soprattutto libertà di confessione. Valori e libertà proprio in questo periodo di privazioni tanto rivendicati, penso a chi reclamava il diritto di culto per la riapertura delle messe o chi semplicemente ammetteva di essersi reso conto di quanto queste libertà fossero importanti, proprio in un momento di reclusione. Una conversione che tra l'altro può risultare comprensibile, dopo un rapimento di quasi due anni, sola, circondata da fondamentalisti, in un contesto di dittatura confessionale (dove la Fede non solo non puoi scegliertela, ma ti è imposta per legge), potendo scrivere solo sul suo diario e leggere solo un libro, il Corano. Una scelta quantomeno giustificabile sulla base di un discorso di sopravvivenza. Per quanto, sia chiaro, la comprensione non dovrebbe essere presupposto necessario per il rispetto delle scelte di una persona o anche per un semplice silenzio, che sarebbe stato sicuramente più gradito.
Le parole corrette per descrivere il fiume di odio che si è riversato contro Silvia Romano, dopo tutto il dolore già affrontato sono diverse. Sono tante perché è un odio che si basa su una pluralità di aspetti, che insopportabilmente per qualcuno, si sono concentrati sulla stessa persona, quella di Silvia, o meglio, Aisha. Un odio che porta quattro diversi nomi : sessismo, islamofobia, diffidenza per chi compie atti altruistici e colpevolizzazione della vittima. A fare da miccia a questo mix esplosivo è stata la voce di un presunto riscatto. La voce non è confermata, le indagini sono in corso. In ogni caso, quella della legittimazione del pagamento del riscatto per i prigionieri di gruppi terroristici, è una questione a lungo dibattuta che si ripresenta ogni volta che un connazionale viene rilasciato. Mai niente è stato mai ammesso in merito.
SESSISMO
Scesa dall'aereo Silvia si è mostrata subito come una donna forte, determinata e coraggiosa. Non è andata bene. In tanti si sono chiesti cosa sarebbe successo se la vicenda avesse riguardato un uomo. Fortuna, o sfortuna, vuole che ci sia un caso che risale proprio a due mesi prima il rilascio di Silvia. Il 15 Marzo, Luca Tacchetto, un ostaggio italiano nelle mani di Jnim, un'altra cellula africana di Al-Qaida, è stato liberato con la sua ragazza Edith Blais dopo 15 mesi di prigionia nel deserto del Mali. Anche lui, una volta libero, ha dichiarato di stare bene e di essersi convertito all'Islam. Non una parola, non un insulto, non uno scandalo, niente. Ma non è il solo : Alessandro Sandrini, condannato per due rapine a mano armata e recatosi in Turchia per una vacanza è stato catturato al confine con la Siria sempre da affiliati di Al-Qaida ne 2016. L'anno scorso è stato liberato grazie ad un negoziato, ed ha affermato di essersi convertito all'Islam, di essere un uomo cambiato. Nessuno ha osato mettere in dubbio le sue affermazioni. Una storia simile ha riguardato l'imprenditore Sergio Zanetti che, rapito nello stesso periodo al confine della Siria, è tornato convertito all'Islam. Non una parola. Tutti sono stati accolti con gioia e comprensione, nessun dubbio sulle loro scelte, nessun insulto, giustamente.
Ma ci sono anche storie di donne, che invece, sono più simili a quella di Silvia. Proprio Matteo Salvini nel commentare il ritorno di Silvia a "Mezz'ora in più" dall'Annunziata ne ha ricordate due, ancora una volta insultandole, come se non fosse bastato " al loro turno". Sono Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, il loro rapimento è avvenuto ad Aleppo, dove si trovavano come volontarie, nel 2014. Loro, come Silvia, sono state ricoperte di insulti, non solo dopo essere state liberate, ma anche prima, quando, alla notizia del loro rapimento si ricorse con facilità alla retorica del "ve la siete andata a cercare" . Loro non si erano convertite, ma semplicemente hanno affermato di essere pronte a tornare comunque in Siria, paese nel quale si impegnavano con progetti di volontariato da anni. Si sono mostrate coraggiose, ecco la loro colpa, così come Silvia che tra le prime cose ha affermato di "essere stata forte", che non ha versato una lacrima, che ha sorriso, e che per di più ha scelto da sola in quale Dio credere. Ma queste caratteristiche evidentemente non rispecchiano un'idea di fragilità e instabilità che più accontenterebbe certi leoni da tastiera che non si sono risparmiati commenti palesemente sessisti. Ma non è una novità, il paradigma si ritrova andando ancora più indietro fino al 2004, alla storia delle due "Simone", Simona Torretta e Simona Pari che furono sequestrate a Baghdad, nella sede della Ong per cui lavoravano all'età di 29 anni. Furono liberate dopo 5 mesi e mezzo di prigionia. Al loro arrivo all'aeroporto di Ciampino si tenevano per mano sorridenti e indossavano lunghi caftani colorati. Anche loro dopo la liberazione ai giornalisti hanno dichiarato che sarebbero ripartite per fare volontariato e anche loro sono state colpite da un coro di odio, concentrato tra l'altro, inspiegabilmente, sul loro abbigliamento.
ISLAMOFOBIA
Non solo una donna forte, determinata e coraggiosa. Ma anche una donna in grado di scegliere la propria fede, una fede "scomoda", di quelle che fanno storcere il naso.
L'Islam è, prima di tutto, una religione. Una religione che, in quanto tale, è libera di essere professata nel nostro paese. Partendo dal presupposto che il discorso, a dir poco intimo, dovrebbe finire qua è necessario soffermarsi su assunti di matrice islamofoba che hanno dato vita a ulteriori insulti nei confronti di Aisha. Come se Silvia "avesse scelto proprio la fede sbagliata".
Il primo : l'equivalenza islam - terrorismo. Molti sono gli sforzi fatti , almeno a partire dal 2001, per destrutturare questo insopportabile rimando, frutto di ignoranza. Questa equivalenza esiste perché, semplificando un discorso molto complesso, diversi gruppi terroristici fondamentalisti islamici abusano dei pilastri della regione islamica per giustificare e basare la propria Jihad (guerra santa) contro il mondo occidentale. Spero basti dire, per non dilungarmi in un discorso a dir poco complesso, che la traduzione letterale di Jihad è "sforzo" e connota in realtà uno spettro ampio di significati, all'interno dei quali il più importante è lo sforzo spirituale per il miglioramento di sé stessi, e non certo quello di guerra santa. La conversione di Silvia, arrivata dopo quasi due anni di prigionia nelle mani di "veri" terroristi, sembra aver fatto andare in tilt le grandi menti avide custodi di questa ignorante equivalenza (islam - terrorismo). Tant'è che le dichiarazioni in merito sono state pietrificanti. Ne bastino due a riassumerle : Alessandro Pagano, deputato leghista, che l'ha definita in aula "neo - terrorista" e Sallusti che ha dichiarato che si sarebbe aspettato più rispetto da parte di Silvia in quanto questa avrebbe potuto evitare di presentarsi con la divisa dei suoi rapitori. Mi taccio sul paragone che è seguito.
Il secondo : l'Islam è una religione maschilista. Inutile soffermarsi sul punto in quanto si scenderebbe in un dibattito teologico (tra l'altro trito e ritrito quindi accessibile un po' ovunque per chi fosse interessato) che non mi ritengo assolutamente in grado di riportare. Ma è sufficiente affermare che al di fuori dei paesi dove si applica la Shari'a (il complesso di regole di vita e di comportamento islamici, come i "nostri" comandamenti) le pratiche religiose che donne o uomini musulmani scelgono di seguire sono fondate su un condiviso significato spirituale e in nessun caso obbligatorie.
DIFFIDENZA PER CHI COMPIE ATTI ALTRUISTICI
Non solo una donna forte e in grado di scegliere la propria fede, ma per di più andata in Kenya per aiutare. E questo è un ulteriore problema. Si perché la narrativa degli ultimi tempi, aizzata dai discorsi nazionalisti e populisti, è una narrativa che dipinge nell'attivista umanitario il male più assoluto.
Ha alla base un semplice assunto : se scegli di dedicare la tua vita agli altri dovrai scegliere chi aiutare sulla base della nazionalità (es. io non ho una casa, lui non ha né una casa né cibo, io sono italiano, lui no, se sei una volontaria italiana devi aiutare me). Una narrativa a cui non importa chi stia effettivamente meglio o peggio, a cui non importa la libertà di scelta, a cui non importa l'uguaglianza, a cui non importa che in gioco ci sia la vita di qualcuno. Una narrativa per la quale eroe è il poliziotto, che rischia la propria vita per quella dei cittadini ed eroe non è chi lo fa, neanche per lavoro, per qualunque altra persona, indipendentemente dalla nazionalità.
Subito infatti, commentando il ritorno di Silvia, molti si sono dilungati in ringraziamenti alle forze dell'ordine e i servizi segreti che avevano rischiato la propria vita per salvare quella di Silvia, molti alludendo tra l'altro a una presunta ingratitudine di questa (quando le sue prime parole sono state di ringraziamento); ma soprattuto troppi sono arrivati a mettere in dubbio perfino l'opportunità del salvataggio. Salvini riassume per loro, alludendo anche a un presunto riscatto: "Greta e Vanessa, una volta liberate dissero subito 'noi torneremo là'...credo che fosse il caso di pensarci un po'...è chiaro che nulla accade gratis ma non è il momento di chiedere chi ha pagato cosa. Io ho visto come lavorano le nostre forze dell'ordine e porto enorme rispetto verso chi corre rischi, penso all'agente Apicella. Prima di fare cose che mettano a rischio la vita di donne e uomini delle forze dell'ordine in Italia o nel Mondo bisogna pensarci cento volte ".
È la stessa retorica complice della demonizzazione delle ONG nel Mediterraneo, e di qualsiasi altra forma di volontariato che non guardi alla nazionalità di chi sta aiutando. È solo un'altra delle mille forme del nazionalismo. Ed è quel nazionalismo che tra l'altro, tornando in tema di rapimenti, crea un contrasto così forte tra le storie di Fabrizio Quattrocchi e Enzo Baldoni, il primo premiato con medaglia d'oro all'onore (promossa da Fratelli d'Italia e Alleanza Nazionale), il secondo buttato nel dimenticatoio : erano andati entrambi in Iraq nel 2004 per la stessa guerra, rapiti dagli stessi nemici con una sola differenza e cioè che il primo era lì come soldato e prima di morire disse ai suoi assassini "vi mostro come muore un italiano" e il secondo come giornalista freelance. Silvia, come Enzo Baldoni, non era lì per combattere una guerra italiana, non era lì per l'Italia e se il primo non si è meritato nessuna medaglia, la seconda, a quanto pare, si è meritata discredito e vergogna. Che poi è lo stesso paradigma che è ha colpito Vanessa e Greta e le Simone, colpevoli di aver detto di voler tronare a fare quello a cui dedicano la vita : volontariato.
COLPEVOLIZZAZIONE DELLA VITTIMA
Ecco l'ultima goccia del vaso di odio verso Silvia Romano, già straripante. Per questo meccanismo, quando c'è una vittima, a qualcuno scatta subito in mente che parte della colpa sia proprio di questa. Accade quando sulla categoria di cui fa parte la vittima ci siano dei pregiudizi di diverso tipo, per motivi che chi fa ricorso a questo meccanismo non ammette. (es. la giustificazione di uno stupro sulla base dell'abbigliamento della stessa vittima nasconde in realtà un pregiudizio generale nei confronti delle donne). Ecco che, il vaso colmo di pregiudizi dovuti a sessismo, islamofobia e una generale diffidenza verso chiunque compia atti altruistici in modo disinteressato (non per la nazione) viene nascosto dietro a un semplice "i tuoi conoscenti ti avevano ben avvertito che si trattava di una iniziativa assolutamente spericolata. Te ne sei fregata e questi sono i risultati", come afferma l'imprenditore Lupo Rattazzi, facendo riferimento a dei fantomatici "conoscenti" di Silvia Romano che a quanto pare la avrebbero avvisata.
Ecco, Aisha, bentornata, e come chiude egregiamente Laura Berlingozzi nel suo articolo del blog security praxis : "speriamo che l'Italia non ti tratti peggio di Al-Shabaab"