Italia e lavoro: lacrime e speranza

04.03.2020

di Federica Carlino

Ogni giorno ci sentiamo bombardare da telegiornali, talk show e radio, politiche e statistiche incentrate sul campo del lavoro. Nei periodi pre-elettorali i partiti mostrano idee e progetti di future possibili leggi per aumentare anche di un 1% il tasso di occupazione. Per un paese come l'Italia, fondato sul lavoro, quest'ultimo ricopre un ruolo molto importante, concretizzato dall'art. 36 della Costituzione, prefissando il mantenimento di uno standard di vita apprezzabile e dignitoso. Il mondo del lavoro però è in continua evoluzione, non basta un semplice articolo, è un susseguirsi di riforme e leggi che girando le carte in tavola non propongono nulla di abbastanza innovativo perché la situazione possa realmente cambiare.

Era il 2011 quando nella conferenza stampa di presentazione della nuova manovra, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, non era riuscita a trattenere le lacrime mentre stava per pronunciare una parola molto forte: sacrificio. Il sacrificio di cui parlava il Ministro faceva riferimento al d.lgs. 92/2012, recante modifiche allo Statuto dei lavoratori per facilitare i licenziamenti individuali per cause economiche, modifiche ai contratti co.co.co, per i lavoratori con partita IVA, per i rapporti di lavoro subordinato e parasubordinato e infine innovazioni sul sistema degli ammortizzatori sociali. A parte l'imbarazzante momento di tenerezza che ogni italiano aveva per se stesso vedendo determinate immagini, sono passati quasi dieci anni, cos'è cambiato da allora?

Secondo la società di analisi americana Gallup, 5 ragazzi su 10 aspirano a un lavoro migliore e 3 su 10 vogliono mettersi in proprio per non avere più un capo. Si tratterebbe in questo caso di un grande sacrificio realizzato dalle nuove generazioni, fatto per garantirsi una dignità professionale. Un'àncora di salvezza fino a qualche anno fa, e probabilmente tuttora in alcune parti d'Italia è stata rappresentata dal "posto fisso", la possibilità cioè di avere un posto di lavoro, uguale nel tempo, per un tempo indeterminato, con uno stipendio proporzionale al proprio operato e con un orario di lavoro anch'esso più o meno variabile.

La morte del lavoro a tempo indeterminato ha rappresentato per molte persone una liberazione, come ha affermato in un'intervista Gianluigi Ballarani, imprenditore trentenne e professore in Digital Marketing all'Università di Pavia. Per molti altri invece, ciò ha significato l'inizio o il ritorno al precariato, e la maggior flessibilità in uscita se da una parte ha comportato più possibilità di dare un limite temporale alla propria carriera lavorativa, dall'altra ha creato tanti dubbi su quanto possa essere realmente realizzabile una tale idea .Il concetto di libertà infatti, è un'idea astratta, data da un rapporto feudale datore-dipendente che non propone un'immagine plastica di possibilità di scelta. Una delle alternative, che bilancia sacrificio e libertà, è adesso proposta dal mondo del web, permettendo la nascita di nuove figure professionalizzate. Parallelamente però a questa scatola d'oro, si possono trovare figure lavorative nate anch'esse recentemente dove le garanzie e i diritti riconosciuti sono minimi o quasi assenti, si potrebbe far riferimento ad esempio ai riders. L'art 36, sembra in questo caso essere solo qualcosa di altamente formale e poco organico, il riconoscimento a livello costituzionale di queste nuove forme di lavoro è ancora in via di gestazione. Solo con il recente d.lgs. 101/2019 si sono presentate misure urgenti per la tutela del lavoro, ma soprattutto una serie di tutele minime per i riders. Questi riceveranno una maggiore tutela derivante dal fatto che per tali soggetti il corrispettivo potrà essere determinato in base alle consegne effettuate, purché in misura non prevalente, indirizzandoli verso la contrattazione collettiva. La retribuzione a cottimo non ha destato pochi malumori, infatti il testo è molto approssimativo e il rischio è che le tutele siano riservate a un gruppo di élite, aumentando i rischi che detta forma di pagamento determina per salute e sicurezza sul lavoro. Gli interventi legislativi sono bastati quindi a ben poco, sono continue le rivendicazioni degli attori sindacali vicini a questa categoria di lavoratori, che lottano per riconoscimenti che vanno dall'eliminazione del sistema del cottimo, al monte orario garantito, a una maggiore sicurezza per i lavoratori. Nulla di certo, tutto ancora in continua programmazione, sono passati parecchi mesi da quando al ministero del lavoro c'era Luigi Di Maio, eppure la situazione è rimasta invariata, con un decreto giallo-verde che adesso sembra esser un lontano ricordo.

Si tratta di un cambiamento di mentalità che richiede ancora tempo o della normale divisione sociale che si ripete nel tempo e che si incarna dietro una richiesta di sacrificio?

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