La crisi della democrazia nel mondo: tra un divorzio e una pausa di riflessione
di Federica Carlino
Governo al popolo, espressione tanto usata nel linguaggio moderno, trova origine nell'antica Grecia dai due sostantivi δῆμος e κράτος. La parola democrazia indica letteralmente il "potere che si affida al popolo", rendendolo parte attiva ed integrante della politica, protagonista delle più grandi piazze cittadine. Oggi la democrazia si può dire stia vivendo però una crisi, quasi come fosse la famosa crisi del settimo anno di matrimonio. Tempistiche ed esigenze differenti, ma come una moglie alla ricerca di attenzioni, questa potrebbe rappresentare la causa di un divorzio da migliaia di euro, dove gli unici danneggiati qui non sono i figli, bensì interi Stati.
Solo un mese fa la Bielorussia è stata il palcoscenico di numerosi scontri, le elezioni presidenziali tenute lo scorso nove agosto hanno fatto riemergere i numerosi problemi che dilagano in uno stato governato "dall'ultimo dittatore dell'Europa". La Bielorussia nasce come una repubblica, ma vive una monarchia, sì perché anche in queste elezioni per la sesta volta di fila, la vittoria ha visto sempre lo stesso nome, Aleksandr Lukashenko, eletto con l'80,23% dei voti, mentre la sua sfidante Svetlana Tikhanovskaya ha ricevuto il 9,9% dei voti. Sorprendente che l'opposizione abbia raggiunto solamente poco meno del 10%, no? La candidata Tikhanovskaya aveva invitato i bielorussi a non utilizzare il voto anticipato, ma a votare in massa domenica per ridurre il rischio di frodi, ritenendo più difficile falsificare le schede nelle ore immediatamente precedenti all'apertura delle urne. Proprio nelle ore finali del voto, si sono formate lunghe code davanti a molti seggi elettorali e persino davanti all'ambasciata bielorussa a Mosca. La trasformazione però di queste lunghe code in vere e proprie manifestazioni contro il neo presidente sono state tempestive, molti dimostranti sono risultati dispersi per giorni, non si sa se siano stati incarcerati o ricoverati. Dalla sua Lukashenko non appare minimamente intimorito dalle dichiarazioni di Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo, nella decisione di non riconoscere la validità delle elezioni, trovando invece appoggio nelle due grandi gemelle di governo quali la Russia e la Cina, a costo di compromettere i suoi tentativi di riavvicinamento con l'Occidente.
Proprio la Russia sembra invece aver fatto un'ingente scorta di sostanze tossiche da usare come insaporitore di bevande, in effetti perché limitarsi ai soliti liquori per correggere caffè o tè? Si sa, la Russia estate o inverno che sia ha sempre delle temperature abbastanza rigide, serve qualcosa per scaldare o meglio bruciare dentro, lo sa bene Alexei Navalny, ultima vittima di questo stupido gioco di Putin. Secondo i medici tedeschi Navalny sarebbe stato avvelenato, i risultati clinici indicano infatti un avvelenamento con una sostanza che inibisce la colinesterasi. Ma la Russia non è nuova a questi avvenimenti, pare infatti che episodi misteriosi proprio contro gli oppositori di Vladimir Putin si ripetano da più di dieci anni, qui più che una crisi da settimo anno sembra un po' una relazione tossica a senso unico. Putin ricopre in maniera esclusiva la carica di presidente dal 2012 non subendo alcun colpo da antagonisti politici o giornalisti di opposizione, chissà magari un giorno le scorte finiranno, o forse si ricorderanno di essere una Repubblica semi-presidenziale con un limite di mandati.
Altra Repubblica questa volta Popolare è la Cina, governata dall'unico partito esistente, il Partito Comunista. In realtà nel paese ufficialmente esisterebbero altri partiti: della Cina per l'Interesse Pubblico, della Gioventù Cinese, partito Democratico Cinese dei Contadini e dei Lavoratori, partito Socialista Democratico Cinese, notizie al riguardo però non pervengono. Oltre che questo egocentrismo del Partito Comunista, che mette in ginocchio la democrazia, in uno stato che pare non l'abbia mai veramente vista, ciò che è stato oggetto di discussione nell'ultimo anno è stata l'approvazione della legge sulla sicurezza, imponendo una stretta sulla libertà a tutti i cittadini di Hong Kong. La norma punirebbe gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere e compiute nell'ex colonia britannica. Hong Kong infatti fino al 2047 è legata al diritto inglese secondo il patto "una Cina due sistemi", un accordo che gli ha permesso di essere la sorgente di libertà e autonomia in un territorio prettamente negazionista della visione democratica vigente in occidente. È già dallo scorso anno che manifestanti di tutte le età si riversano nelle piazze al grido della libertà, proteste che in un attimo diventano luogo di scontri con forze dell'ordine armate di gas lacrimogeno e manganelli. Dall'inizio delle proteste la polizia ha effettuato più di 9.000 arresti, figure di spicco a favore della democrazia che sono state arrestate includono attivisti, giornalisti, pronti a sacrificarsi, così come il magnate dei media Jimmy Lai, che è un esplicito sostenitore della democrazia a Hong Kong.
Grande sostenitore di questo tipo di governo è invece il presidente del Venezuela Nicolàs Maduro, in carica dal 2013. La sua presidenza ha comportato un deterioramento che ha colpito tutti i settori, dapprima i parametri economici con la diminuzione del prezzo del petrolio, principale fonte di guadagno, l'inflazione e la mancanza di generi alimentari di largo consumo. Conseguentemente tutto ciò ha favorito la povertà e la nascita di organizzazioni criminali, che molto spesso si trovano in forte conflitto con le forze armate del posto. Nel gennaio 2019 si è aperta una crisi costituzionale e la sua presidenza è stata contestata da Juan Guaidó, politico venezuelano ed ex presidente dell'Assemblea nazionale, considerato l'ultimo e l'unico possibile in grado di contrastare un potere tanto radicato come quello del governo di Maduro. Pochi giorni dopo la sua nomina a presidente dell'Assemblea nazionale, Guaidò avvalendosi dell'art. 233 della costituzione venezuelana si auto-nomina Presidente incaricato, con l'ausilio di oltre 60 paesi nel mondo. Più che un problema politico lui lo definisce un problema di umanità e violazione di diritti umani, ecco perché è necessario che gli altri Stati del mondo dimostrino la propria vicinanza. Prima di Guaidò, Leopoldo Lopez aveva provato a portare avanti questa causa, leader dell'opposizione, finito in carcere ed ora agli arresti domiciliari così come tanti altri membri dell'opposizione. Il 28 marzo 2019 però il governo del presidente Maduro revoca a Guaidó l'incarico di presidente dell'Assemblea nazionale, inabilitandolo per 15 anni dall'esercitare un qualsiasi incarico pubblico, e anche questo fanatico della democrazia è stato eliminato, avanti il prossimo.
Se la mettessimo da un punto di vista costituzionale, tutte le situazioni sarebbero un sfregio a storici e studiosi, riuniti per la stesura delle carte costituzionali adesso vigenti negli Stati di tutto il mondo. Diritti e doveri che potessero prendere in considerazione la voce di ogni cittadino, le esigenze di una società, che mettessero la tanto desiderata democrazia al centro di ogni organizzazione statale, perché senza il popolo non esisterebbe nessuna carica politica.
Adesso la democrazia sembra stracciata, violentata da una meschina voglia di potere che acceca gli occhi, davanti a povertà, schiavitù e violenza. Cittadini che perdono la libertà, cittadini che non hanno mai avuto la possibilità scegliere, perché nel frattempo i signori del mondo erano già saliti al trono.