La lingua (s)batte dove il dente duole: oltre l’uccisione di Maria Paola, c’è quella di Ciro e di tutte le persone trans
di Federica Suriano
Caivano, provincia di Napoli. Maria Paola Gaglione perde la vita all'età di 18 anni mentre era sul motorino con il fidanzato Ciro Migliore. Il fratello della vittima, Michele Gaglione, durante un inseguimento ha speronato la sorella a causa della sua relazione con un ragazzo trans.
La lingua dei mezzi di comunicazione (s)batte dove il dente duole, ma non dovrebbe. Molto spesso si utilizzano i detti popolari, avvalendosi di una situazione piuttosto comune, per definirne metaforicamente altre del tutto diverse. Ecco, nel momento in cui duole un dente, basta un lieve tocco della lingua per risvegliare un acuto dolore. Peccato che in questo caso la lingua sia l'ignoranza della stampa e l'acuto dolore il frutto della politica dell'odio e del disprezzo, dell'ingiustizia e dell'indifferenza nei confronti di alcune categorie. Nell'anno 2020, definito come volàno per una nuova era globale non viene ancora utilizzato il linguaggio corretto per l'inclusione trans, così Maria Paola è una 'ragazza omosessuale' e Ciro diventa 'Cira'. Si è indecisi tra 'compagno' o 'compagna' di Paola, ricordando a Ciro che non importano tutti i suoi sforzi per diventare uomo perché sarà sempre considerato una donna.
Come è stato osservato dal giornale The Vision, c'è anche chi ha avuto il coraggio di sminuire il rapporto parlando di "due amiche che avevano una relazione LGBT" o ancora di "un'amica che da un po' di tempo si fa chiamare al maschile" e al Tg1 e al Tg2 si è parlato della notizia utilizzando l'appellativo di 'Cira'. Se il linguaggio è testimone dell'inclusione, è chiaro che la società non sta riconoscendo l'identità di Ciro e nemmeno si preoccupa di riferirsi a questa persona con i giusti termini. Molti credono che si tratti di una polemica sterile, che riferirsi con il femminile o con il maschile non faccia la differenza. Al contrario alcuni termini, soprattutto se utilizzati in modo improprio, possono lacerare l'anima, sotterrare l'autostima ed eludere la speranza in un mondo migliore. Questi atteggiamenti sono figli di un'ignoranza incurabile e di un consistente errore dal nome 'misgendering' con cui si indica la pratica di riferirsi ad una persona transessuale utilizzando gli articoli, le desinenze e i pronomi non corrispondenti alla sua identità di genere. In altre parole, si continua a fare riferimento a una persona che è transgender, non binaria, o di genere non conforme usando termini relativi al modo in cui veniva identificata prima della transizione. Il binarismo e la cisnormatività (il dare per scontato che tutti si identifichino col genere assegnato alla nascita) non devono essere i limiti di una mente infeconda, bensì i confini di una terra fertile all'inclusione.
Quali sono le parole più corrette da utilizzare riguardo l'area tematica Trans*? Per ciò che concerne le persone trans binarie, la cui identificazione va da maschio a femmina o viceversa, il discorso a livello di pronomi e di genere negli aggettivi è relativamente semplice: la persona va sempre e comunque, senza eccezioni, considerata del genere con cui si identifica, regolando il linguaggio di conseguenza. Per quanto riguarda invece il mondo trans non-binario la speranza è quella di scardinare la convinzione per cui esistano solo due generi. Qui la questione pronomi e aggettivi è complicata rispetto alle caratteristiche della lingua italiana. In America queste comunità hanno risolto il problema essendoci l'assenza del genere negli aggettivi in lingua inglese e con il pronome neutrale "they/them" da sostituire ai pronomi maschili/femminili. Ma ciò non vuol dire che la lingua italiana non possa essere analizzata e cambiata in conformità alla sensibilità sociale. Già nella forma scritta il genere obbligato della lingua viene ovviato comunemente mediante l'uso dell'asterisco (brav*, bell*), anche se inutilizzabile nel linguaggio parlato. In quest'ultimo caso la comunità ha già lanciato delle proposte: sostituire la vocale finale con la "u" (bravu, bellu), troncare le parole (brav, bell) o cercare di aggirare il problema utilizzando termini più neutrali (una brava persona, di bell'aspetto).
Queste sono solo alcune delle soluzioni che potrebbero essere concretamente adottate. Leggendo tra le righe, è chiaro che l'ignoranza della stampa e il misgendering nascondono la rivendicazione di un'identità, il diritto a pensarsi come si vuole e ad esistere di conseguenza in quel modo anche per tutti gli altri. Il riconoscimento di un'identità per le persone trans non è solo una questione biologica, ma è anche il piccolo traguardo di un percorso ad ostacoli da compiere per conquistare una serie di diritti connessi all'inserimento in una società che discrimina, in costante movimento nel mondo reale eppure ferma nel mondo delle idee.
Secondo un'analisi compiuta dall'Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali (FRA) l'Italia è il paese dove le persone transgender si sentono più discriminate. Il nostro è anche il secondo paese per quanto riguarda l'utilizzo, da parte di politici, di una retorica e di un linguaggio offensivo contro i transessuali. L'indagine ha rivelato che molte persone trans non si abbigliano o si atteggiano come naturalmente vorrebbero perché temono di essere picchiate. Molte persone trans sono vittime di violenze ripetute nel tempo e di vittime di azioni negative di ogni genere perpetrate nei loro confronti, tra cui la violenza verbale. L'uccisione di Ciro è l'uccisione non solo del mondo trans, ma anche di tutta la comunità e di tutti gli attivisti del mondo LGBTQI+.
Ogni membro della comunità, ad oggi, rischia di vivere la stessa condizione di Gregor Samsa (protagonista del romanzo "Metamorfosi" di Kafka), che una mattina si sveglia e scopre di aver assunto le fattezze di uno scarafaggio. Questa metamorfosi è allegoria della alienazione dell'uomo moderno all'interno della famiglia e della società, che si traduce nell'isolamento del "diverso" e nell'incomunicabilità con i propri simili. Per quanto la visione kafkiana del mondo sia apprezzata, non è quella che tutti desiderano vivere. "Una società ingiusta è ingiusta per tutti, chi pensa di essere dalla parte dei sani, dei salvi, dei privilegiati è semplicemente troppo miope per capire che quelle stesse dinamiche che tollera o che attua un domani potrebbero riversarsi contro di lui", come ha scritto Giuseppe Porrovecchio di The Vision.
Bisogna rispettare gli altri prima di diventare ciò che gli altri disprezzano.