Considerazioni sul MES

05.10.2020

di Salvatore Moscato

La pandemia da Sars-Cov-2, da quasi un anno ormai, ha piegato la quasi totalità del globo portando le persone a vivere in un contesto che a stento qualcuno avrebbe solo potuto immaginare. Gli effetti di questa pandemia hanno portato sull'orlo del collasso molti stati, incidendo sull'economia, sulla sanità e su qualsiasi aspetto della vita quotidiana.

Nel contesto europeo l'Italia ha subito uno dei colpi più violenti in maniera totalmente inaspettata, e così sulla stessa scia il resto degli stati; bisognava trovare una soluzione tempestiva, capace di poter fornire il giusto appoggio così da non causare il completo collasso dei sistemi e da questo punto di vista l'Unione Europea ha giocato e continua anche adesso a giocare, un ruolo cruciale nella gestione della pandemia e soprattutto di ausilio. Dopo un primo periodo che potremmo definire caotico senza esagerare, i governi degli stati membri hanno cercato di concerto alle istituzioni dell'Unione, degli strumenti idonei cui fare riferimento ed è proprio su uno di questi che cade la nostra attenzione, parliamo infatti del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Nonostante siano già passati dei mesi dal primo momento in cui si è discussa possibilità del suo impiego, ad oggi non è molto chiaro il suo funzionamento e soprattutto se possa essere o meno efficace per fornire il giusto punto di appiglio agli stati. Prima di analizzare le critiche è bene provare ad acquisire una visione d'insieme, leggendo la storia e qualche sua caratteristica tecnica.

Gli eventi che hanno portato alla nascita del MES risiedono principalmente nella crisi economica del 2010, iniziata negli Stati Uniti e giunta poi in Europa, con i tristemente noti risvolti in Portogallo e Grecia. In quel periodo la scelta per l'assistenza era ricaduta su degli strumenti temporanei l Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (EFSM) e il Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF), si trattava di strumenti con capacità massima di 500 miliardi di euro garantiti dal bilancio dell'Ue il cui operare si sostanziava nell'erogazione di pacchetti di prestiti. Di lì a poco si diffuse l'idea di un fondo permanente, capace di fornire agli stati dell'eurozona l'assistenza necessaria e di evitare al contempo di movimentare degli ingenti capitali senza adeguate garanzie. Nel 2012 viene firmato il trattato che istituisce il MES, divenendo operativo l'ottobre dello stesso anno. Ovviamente fin dal primo momento, le critiche non sono mancate ed è bene citare a tal proposito il caso Pringle ove veniva lamentata l'incompatibilità di questo strumento con i trattati TUE e TFUE relativi all'unione economica e monetaria oltre che con i principi fondamentali dell'unione. L'esito non fu positivo poiché la corte di giustizia rigettò integralmente il ricorso. A sostegno di questa tesi possiamo mettere un dato che non deve essere trascurato: è vero che il MES possiede un carattere di "estraneità" essendo come vedremo una vera e propria organizzazione internazionale, ma la sua stessa realizzazione è stata possibile grazie alla modifica del TFUE in particolare l'art 136, approvata con decisione del consiglio 2011/199/UE.

Cos'è il MES?

Il MES alias "meccanismo europeo di stabilità", conosciuto anche come fondo salva stati, è un'organizzazione internazionale a carattere regionale nata con lo scopo anzidetto. Dal punto di vista normativo si tratta di una vera e propria società di diritto lussemburghese (societè anonymè) al cui interno figurano tre organi principali: il consiglio dei governatori, composto dai ministri finanziari dell'eurozona; il consiglio di amministrazione, nominato dal consiglio dei governatori e da un direttore generale con diritto di voto. Figurano altresì il commissario europeo per gli affari economico monetari e il presidente della BCE nel ruolo di osservatori. Le decisioni del consiglio vengono prese a maggioranza qualifica o semplice, si tratta insomma di un'azienda con dirigenti e amministratori che hanno il compito di gestire questo fondo.

Il funzionamento è il punto che più ha suscitato critiche: il meccanismo possiede un capitale di oltre 650 miliardi di euro, la maggior parte del quale deriva dall'emissione di obbligazioni sul mercato. Nel momento in cui uno stato, che versi in situazioni di instabilità finanziaria, avanza una richiesta alla Commissione viene innescato il meccanismo. Dopo un primo controllo riguardante lo stato effettivo di crisi e il suo possibile riverberarsi sugli altri paesi dell'unione, la Commissione verifica le finanze dello stato e definisce il quantum di fabbisogno finanziario. Regola per l'accesso al MES è però il rispetto di una rigida condizionalità. Non è presente un elenco esaustivo di condizioni poiché le stesse verranno fissate in un apposito memorandum d'intesa, esito dei negoziati tra Commissione e Stato con la presenza della BCE e del FMI anche se sappiamo che per i prestiti assume le forme di un programma di aggiustamento macroeconomico che in altri termini indica un aggiustamento di tutte quelle variabili come prezzi, occupazione, quantità di scorte per raggiungere un livello ottimale del ciclo economico.

L'utilizzo di questo strumento, in particolare la rigida condizionalità che ne deriva, preoccupa gran parte degli stati al punto che è stata avanzata la proposta di ricorrere a queste risorse senza condizioni all'esito di una serie di riunioni da parte dell'eurogruppo, è stato infatti stilato un report nel quale si esprime a favore di una speciale assistenza finanziaria del MES agli Stati dell'Eurozona chiamata "Pandemic crisis support", una linea di credito precauzionale che non prevede condizione alcuna se non l'impiego di queste risorse per sostenere i costi diretti o indiretti legati alla pandemia, sotto la vigilanza della commissione. Questo report assume ancora più importanza poiché apre alla possibilità di far fronte al c.d. "Balance of payment facility", istituito con reg. 332/2002/ CE sulla base dell'art 143 TFUE. A completare l'assistenza finanziaria troviamo infine l'art 122 par. 2 TFUE ove si prevede la possibilità che il Consiglio conceda, su proposta della Commissione e a determinate condizioni, un'assistenza finanziaria allo stato membro che versi in gravi difficoltà.

Tirando le somme emerge un quadro in cui il MES rappresenta sicuramente uno strumento potenzialmente idoneo a far fronte alla situazione di crisi ma è altresì da tenere bene in conto che decisioni simili sono capaci di incidere profondamente sull'andamento di uno stato, basti ricordare le già menzionate vicissitudini della Grecia. Possiamo solo attendere e osservare sempre e attentamente questo scenario estremamente mutevole e complesso.

Il quadro odierno.

Delineato così il quadro, verrebbe da chiedersi perché questo strumento non è ancora stato impiegato e allo stesso tempo si discute di mezzi alternativi come il Recovery fund. Dobbiamo precisare anzitutto che lo stesso Eurogruppo ha dichiarato sussistente la possibilità di un "controllo a posteriori", il quale non andrebbe subito ad operare ma solo nel momento in cui i fondi venissero utilizzati in modo distorto, è proprio questo aspetto che avvalora la tesi di una inesistenza di un Mes light (senza condizionalità).

A tutto questo si aggiunge la visione distorta e caotica che i vari interlocutori forniscono alla platea generale, le forza politiche si trovano infatti divise sul punto, incapaci di prendere una decisione perché, come è facile immaginare, la chiarezza non fa parte della disciplina di questo istituto. Ci troviamo allora di fronte ad un problema che in maniera velata ne copre inevitabilmente degli altri. L'Italia potrebbe accedere al Mes "light" ottenere l'importante somma di 36 miliardi a condizioni agevolate e cercare di risolvere i problemi, le "condizioni" non appaiono neanche troppo stringenti, si tratta di spendere bene queste risorse il tutto sotto la vigilanza di organi superiori, nulla di grave a questo punto. C'è un timore alla base nell'accettare questa condizione e questo può divenire forse dall'incapacità di darsi un programma, del resto non si tratta di una scelta che rispecchia la maggioranza o l'opposizione poiché le stesse hanno tirato il sasso per poi nascondere la mano: voti favorevoli della coalizione di centro destra al Parlamento UE e poi spaccatura a livello nazionale, parte della coalizione si è detta favorevole e altre no così anche il centro e la sinistra, che non riescono a raggiungere un punto di contatto. Resta presente il fatto che le condizionalità sono a questo punto note: spesa "vincolata" alle esigenze sanitarie, prestiti fino al 2% del PIL nazionale il tutto con una durata massima di 10 anni e con tasso d'interesse dello 0,1% nettamente inferiore a quello di emissione dei titoli di stato (nel 2020 pari allo 0,79%), riusciamo a comprendere come non si tratti solo di una questione di pro e contro ma anche di scelte che dovrebbero essere fatte sulla base di un programma che non presenti colore alcuno.

Una breve considerazione merita anche un altro mezzo oggi al centro del programma quinquennale della Commissione, il c.d. Recovery fund o Next generation fund.

Si tratta di un fondo con la straordinaria capacità di 750 miliardi con al conseguente emissione di titoli "eurobond" garantiti dal bilancio europeo che ad oggi rappresenta un approdo certo, il cui ultimo step è rappresentato dalla necessaria convergenza a livello nazionale delle principali esponenti partitiche. Una sfida che deve consentire di appianare le divergenze, aspetto ancora poco chiaro e fautore di non poche discussioni di cui vedremo presto l'esito. 

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