Nei campi di Lesbo Dio è morto

19.03.2020

di Angelica Virgilio

Primo Levi nella sua opera "Se questo è un uomo" diceva: "considerate se questo è un uomo che vive nel fango, che non conosce pace, che vive per un sì e per un no". Queste parole ormai ci sembrano così distanti che non possiamo fare altro che leggerle, lì impresse in un foglio di carta non rendendoci conto di ciò che succede non molto lontano da noi. Mentre tutto il mondo è alle prese con l'emergenza Coronavirus, al confine tra Grecia e Turchia è in atto una profondissima crisi umanitaria di cui probabilmente avremmo sentito parlare due settimane fa come ultima notizia al tg, ma ciò che è giunto fin alle nostre orecchie è la ciliegina sulla torta di un gioco che va avanti da molti anni e che ora sta mostrando i suoi segni di cedimento, chiedendo ad ognuno di prendersi le proprie responsabilità, perché tutti siamo complici.

In questi giorni gruppi di decine di estremisti in Grecia stanno dando letteralmente la caccia allo straniero: i comportamenti degli abitanti dell'isola di Lesbo appartenenti all'estrema destra, affiancati dalla polizia, hanno avuto risvolti violenti nei confronti degli immigrati siriani, iraniani, afghani e di tutti i volontari presenti sull'isola. È successo che volontari e profughi sono finiti in ospedale per le violente aggressioni ricevute, altri sono stati respinti in mare (famoso è il video che è girato questi giorni sul web in cui si riprende la scena di un gommone respinto ad ondate dalla barca della guardia costiera- ANSA). Un bambino di soli 4 anni è annegato, un giovane è stato aggredito e in seguito ucciso dalla polizia.

Quello che sta succedendo è solo la punta di un iceberg ormai gigantesco formatosi anni fa dal famoso accordo tra Unione Europea e Turchia del 2016, che ha voluto un' Europa da vetrina: quella del dialogo, della mobilità, dei diritti umani ma che dietro ha nascosto e continua a fare accordi sporchi tra uomini di potere, firmati sulla pelle di innocenti. Questa intesa dà alla Turchia il compito di gestire i flussi migratori provenienti dalle zone adiacenti, affinché mettendosi in contatto con la Grecia, possano coordinare l'immigrazione a ritmo centellinato.

Alla base di questo patto c'è proprio l'intento di contrastare le immigrazioni clandestine ma paradossalmente, quella che doveva essere la soluzione ben presto si è trasformata in un altro problema. Erdogan in risposta ai mancati fondi promessi dall'Unione Europea, dato che quest'ultima non sta intervenendo nel conflitto che si sta avendo nella provincia siriana di Idlib tra milizie ribelli sostenute dal presidente turco e le forze governative di Assad sostenute da Putin, ha deciso di aprire le frontiere verso la Grecia: si dice che fra il 1 e la mattina del 2 marzo siano arrivati sulle isole Egee orientali di Lesbo quasi 1200 profughi (dati registrati dall'UNHCR). Questa situazione è il punto di non ritorno di un gioco di potere che va avanti da anni perché i migranti arrivati in Grecia sono aumentati, molti addirittura aspettano due anni per avere il colloquio con l'operatore che potrà approvare la richiesta d'asilo e le condizioni disumane crescono.

La Grecia nel frattempo ha deciso di sospendere tutte le domande dei richiedenti asilo e ha bloccato i flussi migratori provenienti dalla Turchia, senza nessuna opposizione da parte dell'Ue che di conseguenza ha legittimato: a) un abuso dell'art 78 comma 3 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea in cui si permette una limitazione alla circolazione delle persone in un territorio qualora questo fosse in stato d'emergenza; b) la violazione della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, della carta Edu e della convenzione di Ginevra in cui si ribadisce che al rifugiato spetta la massima protezione e il principio universale del non respingimento. Queste innumerevoli ma soprattutto gravi violazioni ci portano infine alla visuale sul campo di Moira a Lesbo in Grecia. Ci sono quasi 20.000 rifugiati, ma la capienza massima è di 3100 e la conseguenza è che i posti idonei a contenere persone sono pochissimi, i cosiddetti hotspot, e molti vivono nelle tende o addirittura cercano riparo solamente sotto un albero, le famose "jungle" (UNHCR). Lo scorso settembre c'è stato un corto circuito che ha incendiato molti container, ora alcuni dormono sotto le macerie di quell'incendio. La cure mediche non sono sufficienti e non riescono a contrastare la rapida diffusione di epidemie e malattie infettive a causa della mancata igiene: si parla di un bagno ogni 130 persone (è quello che racconta la giornalista Francesca Mannocchi in un suo reportage per il programma televisivo "Propaganda Live"). Questo stato di degrado, di miseria e di sopravvivenza portano a una formazione personale, specialmente nei più piccoli, insana: molti non mangiano, per ricevere i pasti bisogna fare file lunghissime che possono portare via anche mezza giornata, non sanno parlare, soffrono di mutismo selettivo e non dormono, sono malati e le loro malattie diventano persistenti, un quarto dei bambini presenti nel campo hanno provato a suicidarsi o si sono auto lesionati (Medici Senza Frontiere).

Davanti a questi orrori che l'umanità si era promessa di non compiere più dopo la seconda guerra mondiale ancora una volta l'Ue e l'Onu hanno perso, si sono arresi in una battaglia fatta di tiranni che non conoscono il dolore, non riconoscono il prossimo come fratello a cui porgere sempre una mano per salvarlo dal mare della morte. "Considerate se questo è un uomo" una riflessione che non ha tempo, non ha spazio e che dovremmo riprendere anche ora, farlo per chi sopravvive ogni giorno al decomporsi della sua dignità.

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