Oltre una vagina: le conquiste delle donne

08.03.2020

di Federica Carlino

Sono una studentessa, una lavoratrice, una moglie, una mamma, una nonna, una figlia, ma prima di tutto sono una donna. Che cliché parlare di donne proprio l'8 marzo, non facciamo retorica, non diciamoci bugie, ma raccontiamoci la verità. Potremmo dire che l'8 marzo è il giorno prestabilito "per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in quasi tutte le parti del mondo", ma questo non è Wikipedia, questa è la mia voce, il mio spazio, la mia verità. Oppure potremmo travestirci da moralisti social e dire che in realtà la donna dovrebbe essere festeggiata ogni giorno, che ogni giorno dovremmo capire la sua importanza, perché da lei tutti nasciamo, donne e uomini compresi. Ma la verità, la mia verità è che non siamo pronti a celebrare questa festa ogni giorno, non lo siamo non perché siamo delle persone cattive, ma perché non è ancora il momento. Gli uomini non sono pronti a riconoscere le donne in tutti gli ambiti della vita che sia professionale, casalingo, quotidiano, sportivo, educativo, politico, alla sua pari, e le donne non sono pronte perché finché non ci sarà piena solidarietà tra queste la battaglia è per metà persa. Come possiamo pretendere che gli altri abbiano una concezione di noi stessi se noi per primi non facciamo altro che distruggerla vicendevolmente? Non parliamo di tutti i casi, non è sempre così, e prendere quel poco che c'è di buono e usarlo come inno alla propria battaglia può essere l'inizio di un progresso, ma questo è impossibile senza il cambiamento e quelli che non sono in grado di cambiare opinione non sono in grado di cambiare nulla.

Partendo dal 2 giugno del '46, la donna finalmente, grazie a un'intensa battaglia portata avanti dalle c.d suffragette, riesce a dare piena identità alla propria idea politica con una semplice e banale crocetta. Per la prima volta realizza in maniera plastica un'immagine di uguaglianza tra lei e l'uomo, perché dentro quelle urne non c'è un quesito sulla propria sessualità, lì ogni crocetta è identica all'altra.

Tematica fortemente dibattuta ancora oggi nel XXI sec. è introdotta dalla legge 66/1963 art.1 sull'ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni. Si aveva veramente bisogno di una legge che permettesse alle donne di farle sentire libere di ricoprire determinate lavori? Gli uomini hanno mai sentito la necessità di richiedere una legge con lo stesso fine? Ecco un altro cliché che si sentiva maggiormente qualche anno fa: il bambino che da piccolo sogna di diventare calciatore e la bambina velina. Adesso quell'immaginario sembra appartenere a stereotipi superati, oggigiorno infatti non si sentirà più parlare di veline con la stessa frequenza di prima, non si stereotipizzerà più l'idea che la bambina debba fare obbligatoriamente la velina e mostrare il proprio corpo più che per divertimento, per necessità. Ma spostando l'attenzione su un altro aspetto della questione, quanto è facile per una donna ricoprire determinate professioni rispetto ad un uomo? Si è mai sentito parlare di una donna alla Presidenza del Consiglio? Facendo un salto temporale fino al 2011 con la legge Golfo-Mosca si era introdotto il concetto di "quote rosa" in ambito di rappresentanza politica. Le donne sono così passate nei consigli di amministrazione da meno del 6% al 36% in sei anni, comportando un abbassamento dell'età media. Sono state necessarie due leggi, ma sono sufficienti? Ritornando a prima, avete mai sentito parlare di una donna alla Presidenza del consiglio? Io non ancora.

Gli anni '70 invece sono stati un pugno dritto a moltissimi pregiudizi radicati nella nostra cultura, scardinandoli e vedendoli adesso come dei concetti obsoleti. Protagonista indiscussa è stata la legge 898/1970 che regola i casi di scioglimento del matrimonio, comunemente identificato come divorzio. Perché è così importante questa legge? Il codice civile del 1930 all'art 559 puniva l'adulterio commesso dalla sola donna, la domanda che nasce spontanea è: da dove parte l'idea che sia solamente la donna a dover tradire, o meglio ancora, da dove nasce la necessità di unirsi in matrimonio e far sì che questo possa durare in eterno? Sarebbe da ipocriti dire che il nostro è ufficialmente ed effettivamente un paese laico. Per rispondere quindi alla prima domanda risulta semplice fare il collegamento con l'idea di Adamo ed Eva. Eva è identificata come la causa di tutti i mali: del peccato originale, del trasporto alle passioni proibite, del riuscire a manovrare un'anima pia come quella di Adamo. E il matrimonio? Il matrimonio è stata la risposta che la chiesa ha proposto con la Controriforma, rappresentava un raggruppamento di più persone, legate da questo vincolo che doveva durare in eterno sul quale la chiesa poteva esercitare ed applicare le proprie leggi.

La legge sul divorzio è stato un primo passo di autodeterminazione dell'Italia verso la chiesa. Capire quali fossero i limiti invalicabili che la chiesa non dovesse superare fu paradossalmente un atto di coraggio di uno stato che in realtà era già laico.

Pensare che questi risultati possano esser stati ottenuti semplicemente da un cambio di posizione improvviso delle istituzioni e del legislatore è tanto utopico quanto falso. Nulla si conquista se non c'è una battaglia, che possa esser silenziosa, fatta marciando oppure nei peggiori dei casi sanguinosa. In questo caso la battaglia femminista è e continua ad essere una guerra che si combatte sui corpi delle donne, armata dalla volontà di donne lungimiranti, capaci e vogliose di cambiare la società, attaccate da chi vorrebbe controllare il loro corpo, perché il più delle volte a farlo non sono loro.

Pretendere troppe agevolazioni perché si è donne, è come dire di essere più fragili rispetto ad altri, cercare di giocare alla pari invece può essere un valido obiettivo da raggiungere.

Subito dopo la battaglia vinta con la legge sul divorzio, la vera difficoltà sembrava essere quella di smantellare le donne dal ruolo tradizionalmente loro imposto, quello della donna "moglie e madre". Erano prigioniere di un corpo che doveva creare prole, nei modi e nei tempi prestabiliti dall'uomo, il corpo era considerato come l'unico mezzo con cui la donna poteva avere un riconoscimento sociale, il mantenimento dell'uomo, nient'altro. Venne emanata, a dispetto delle campagne pro-life e del costituzionalismo cattolico, la legge 194/1978 cosiddetta legge sull'aborto. Non si tratta solo di un discorso prettamente femminista ed ugualitario, ma di dare dignità a livello biologico alle donne, per conquistare la gestione delle proprie capacità riproduttive. È abbastanza chiaro anche in questo caso il ruolo che la chiesa ha ricoperto. La donna assassina del feto non esiste più, ma non doveva esistere alla base l'ideale della donna come "moglie e madre", perché se una da donna decide di avere una vita sessualmente attiva ma di non volere in quel momento o per sempre dei figli, non significa che è meno donna delle altre, né tanto meno che sia una poco di buono, né che "è stata sfortunata", quella è semplicemente e solamente una sua scelta.

Negli ultimi venti anni grazie al "Codice delle pari opportunità" si è cominciato a parlare di congedo parentale, di incentivazione verso le aziende per attuare orari di lavoro flessibili e disparità di trattamento sul lavoro. Nonostante però ci sia una regolamentazione giuridica, ad oggi la retribuzione ha un divario tra uomo e donna che oscilla tra il 16% e oltre il 35%, le pensioni delle donne sono più basse del 32% rispetto a quella degli uomini oppure il 75% del lavoro non pagato nel mondo è svolto dalle donne.

Ed infine la legge 119/2013 sulla violenza di genere. Quante volte si è sentito riportare dai giornalisti dichiarazioni come: "l'ho ammazzata perché l'amavo troppo" oppure "la relazione era finita da tempo ma lui/lei non l'aveva ancora accettato". Ogni anno muore una donna ogni tre giorni. Quanto una legge può arginare un fenomeno che nonostante tutto è in continuo sviluppo ed aumento? Quanto sangue dovrà scorrere ancora prima che ci sia una legge che possa veramente funzionare? Ricorda, ogni anno una vittima ogni tre giorni.

Le donne non hanno acquistato i diritti perché umane, ma perchè donne, con la condizione di non alterare gli equilibri del contratto sessuale. Sono tematiche che in realtà dovrebbero già stare alla base di uno stato che ha nella propria costituzione un principio stabilito dall'art.3, il principio di uguaglianza.

Nessuna retorica, nessun moralismo, nessuna bugia, questo è il mio spazio, la mia voce, la mia verità, oggi esser donna è ancora difficile.

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