Cile, lo stato d'emergenza dentro e fuori la Costituzione

03.11.2019

Di Eugenio Chemello


Siamo a Santiago del Cile, dove dal 18 ottobre i cittadini protestano, a tratti violentemente, contro un governo che non ha saputo rispondere alla richiesta di maggior giustizia sociale e di ricomposizione delle disuguaglianze economiche che il "miracolo cileno", realizzando al massimo le teorie neoliberiste, ha prodotto. Le proteste sono iniziate due settimane fa, in seguito alla promulgazione di una legge che innalza il costo della metropolitana nella capitale da 800 a 830 pesos (circa 1 euro), autentica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Alle iniziali manifestazioni del 7 ottobre, guidate prevalentemente da giovani studenti che saltavano il tornello delle stazioni della metropolitana senza pagare il biglietto, hanno fatto seguito, a partire dalla sera del 18, i primi momenti di violenza, incendi, saccheggi e scontri fra manifestanti e polizia. La notte stessa il presidente conservatore Sebastián Piñera ha dichiarato lo stato di emergenza (estado de excepción constitucional) e ha nominato quale Capo della Difesa Nazionale il generale dell'esercito Javier Iturriaga. Sabato il governo ha imposto il coprifuoco a Santiago, poi esteso ad altre grandi città (Valparaíso e Concepción), dalle 10 di sera alle 7 di mattina, e molte operazioni di mantenimento dell'ordine pubblico hanno visto i carabineros affiancati dall'esercito regolare: agli agenti in tenuta antisommossa della polizia si sono aggiunti carri armati e armi da fuoco. Le proteste non si sono interrotte e il bilancio di queste giornate, a tratti impreciso, è tristemente noto: salgono a 19 le vittime, di cui almeno 5 causate da polizia ed esercito, 584 feriti di cui 245 da arma da fuoco, più di 2000 le persone arrestate.

Mentre il fenomeno viene studiato sotto la lente dell'analisi economica, sociale e geopolica, inquadrando il caso nel più ampio discorso sulle altre realtà sudamericane, ci concentreremo invece su quanto stia avvenendo in Cile nei termini del testo costituzionale del paese. Quali sono le regole con cui viene condotta una simile gestione degli eventi? In che modo l'attuale rapporto fra lo Stato e i cittadini, dettato dallo stato di emergenza, è riconducibile alla costituzione?

Sappiamo che in una costituzione è contenuto il manifesto programmatico di uno Stato, la forma attorno a cui vengono costruiti gli organi e le istituzioni statali e vengono stabiliti i diritti e il ruolo che il cittadino avrà.La solidità dell'impostazione di tipo liberaldemocratica è assicurata da speciali garanzie: rigidità del testo stesso, separazione dei poteri, diritti delle opposizioni, vicinanza tra stato-apparato e stato-comunità, sindacato di legittimità costituzionale, clausole di chiusura e protezione dell'ordinamento. I diritti poi enunciati nella carta costituzionale saranno effettivamente precettivi e attuati nella costituzione vivente di un paese se, solo se, ancorati a queste garanzie, tra le quali ci sono formule di difficile individuazione (come la divisione tra potere militare e potere politico-civile e la subordinazione del primo al secondo; la divisione di competenze fra polizia ed esercito; la separazione tra poteri ecclesiastici e poteri statali; l'indipendenza dei mezzi di informazione rispetto al controllo politico) e formule che invece presentano rischiose incompatibilità con la stessa costituzione (si pensi alle clausole di sospensione dei diritti civili; i controlli di conformità alla costituzione dei partiti politici; i temporanei accentramenti di potere a favore dell'organo esecutivo; il segreto di Stato). Il caso cileno ci dà la possibilità di capire il funzionamento, più o meno difettoso, di alcuni tra questi strumenti. La Costituzione è considerata una delle più liberali e garantiste del Sudamerica, ma è frutto di una gestazione particolare: promulgata nel 1980 dalla giunta militare di Augusto Pinochet, non è mai stata sostituita con operazioni politiche paragonabili a quella nostrana (e della maggior parte dei paesi europei), nessuna Assemblea Costituente è stata chiamata a riscrivere il testo fondamentale dell'ordinamento. La costituzione del 1980 è stata invece emendata a più riprese, con un ritmo di quasi una riforma all'anno, diventando spesso depositaria delle agende politiche della forza di maggioranza.

Si è parlato dello stato di emergenza, rubricato all'art. 39 e seguenti della costituzione del Cile, dichiarato dal presidente Piñera dopo i primi scontri del 18 ottobre. Questo istituto, presente in moltissimi testi costituzionali europei e non, rientra fra le clausole dette di chiusura o protezione della democrazia, e nella costituzione cilena, la sicurezza nazionale compare già nel primo articolo quale dovere dello Stato. Si ritiene che esso sia un principio quasi implicito in ogni ordinamento, fino a considerarlo attuabile anche laddove non esplicitato in costituzione, come nel caso del nostro paese, perché richiamabile dallo stesso stato di necessità (preso qui come fonte fatto). Gli articoli in questione, dal 39 al 45, prevedono questa possibilità nei casi di guerra esterna o interna, di emergenze e calamità naturali, di disordini interni (conmoción interior) tali da arrecare grave pregiudizio al normale svolgimento delle funzioni statali. Sono poi apprestati dei passaggi istituzionali perché la misura non assuma vesti arbitrarie ed eccesivamente gravanti per la democrazia cilena: alla dichiarazione del Presidente dovrà seguire entro 5 giorni il placet del Congresso Nazionale (ma nel frattempo il primo potrà comunque sospendere il diritto di assemblea); lo stato di assedio (così è definita la fattispecie richiamata in questo frangente) non potrà durare più di 15 giorni, salvo essere prorogato con l'autorizzazione del Congresso; le misure prese in stato d'assedio non saranno sindacabili dalla magistratura solo se autorizzate dall'organo legislativo e non potranno perdurare oltre il termine fissato. Queste misure hanno un peso non trascurabile sulla godibilità da parte dei cittadini dei diritti costituzionali: il Presidente può comprimere la libertà di movimento (come nel caso del coprifuoco annunciato la settimana scorsa e in atto ancora adesso); può sospendere il diritto di assemblea; può mantenere in arresto i cittadini anche in luoghi (specificati per legge) non atti alla detenzione. A queste previsioni si aggiungono quelle dettate dalla Ley de Seguridad del Estado (L. 12927), introdotta nel 1958, significativamente ampliata negli anni della dittatura di Pinochet e che solo recentemente ha subito sostanziali tagli ed emendamenti. Secondo l'accademica dell'Università del Cile Myrna Villegas, molti elementi illiberali sono comunque rimasti, soprattutto quando si confrontano le pene inasprite per fatti tipizzati come delitti contro la sicurezza interna, contro l'ordine pubblico, contro le normali attività dello Stato, con le pene previste dal codice penale "comune". Si evidenzia in particolare l'art. 6 lett. c (Delitti contro l'ordine pubblico) della legge in questione, richiamato dal ministro dell'Interno Andrés Chadwick, che prevede una pena detentiva da un minimo di 3 ad un massimo di 10 anni in base alla gravità del danneggiamento, e la si confronta con il dettato penale comune (per danni compresi fra 190mila e 1,9 mln di pesos sono comminate pene fra i 541 giorni e i 5 anni di carcere).

A questi elementi, ritrovabili anche in ordinamenti europei e in generale atlantici (lo stato d'emergenza proclamato in Francia nel 2005 con la rivolta delle banlieue e il Patriot Act firmato dalla amministrazione Bush sono solo due dei tantissimi esempi), si aggiungono i dubbi riguardanti un'effettiva garanzia di subordinazione delle forze armate ai poteri civili dello stato, necessaria in un ordinamento liberale. Solo con la riforma costituzionale del 2005 il Cile ha visto lo smantellamento delle prerogative politiche del Consiglio di Sicurezza Nazionale, che sceglieva parte dei senatori nominativi, parte dei componenti della Corte costituzionale e che aveva ancora grossi poteri di influenza e intromissione nelle competenze riservate al Congresso. Forse il tempo non è stato sufficiente perché si radicalizzasse il principio di divisione fra attribuzioni civili e militari, e il governo si è appoggiato al generale Iturriaga per la gestione dell'emergenza. Con la proclamazione dello stato d'assedio il Presidente nomina infatti un Capo della Difesa Nazionale (art.42 della Costituzione), che avrà il controllo dell'area in emergenza e sarà il responsabile delle operazioni. Per quanto il ruolo abbia caratteristiche ovviamente tecniche, la decisione di dispiegare forze militari per contenere i moti cittadini, e di aumentare l'intensità delle operazioni nei confronti dei civili presuppongono una responsabilità politica, difficilmente riscontrabile in un appartenente alle forze armate.

L'utilizzo di personale e attrezzature militari richiama scenari di un Cile diverso da quell'immagine di "isola felice" che lo stesso Piñara sventolava poco tempo fa: affidare un simile compito alle truppe militari, non addestrate alla guerriglia urbana, non fa che aumentare i rischi che si commettano violazioni. Lo si legge in un comunicato di Amnesty International: "Già nei giorni scorsi, nel contesto delle proteste contro l'aumento del prezzo dei trasporti pubblici, le forze di sicurezza hanno impiegato forza eccessiva e sono stati segnalati arresti arbitrari di manifestanti". Vi sono video che mostrano militari che aprono il fuoco su alcuni civili, sono emerse testimonianze di abusi da parte delle forze di sicurezza, e organizzazioni femministe e per la difesa dei diritti umani hanno denunciato diversi casi di violenze sessuali nei confronti delle detenute.

"NO ES GUERRA, ES DIGNIDAD" si legge sugli striscioni dei manifestanti, e forse, da qualche parte, bisognerebbe poterlo leggere anche in Costituzione.

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