Taglio dei parlamentari: risparmio o attacco alla democrazia?

04.11.2019

Di Lucrezia Rebecca Levi


La democrazia è rappresentanza e inevitabilmente, quest'ultima, si basa sui numeri: più alto è il numero degli eletti, maggiore sarà la rappresentatività nel mandato delle diverse sensibilità e necessità.

L'otto ottobre di quest'anno è stata approvata dalla Camera dei Deputati con maggioranza assoluta maggiore ai due terzi, (553 a favore, 14 contro e 2 astenuti), la riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari: secondo l'Art. 138 della Costituzione, il testo, avendo ricevuto una larghissima maggioranza solo alla Camera e non al Senato, può essere sottoposta a referendum confermativo se richiesto da un quinto dei membri di una Camera, (già proposto dall'onorevole Baldelli, Forza Italia e da Roberto Giachetti, Italia Viva), cinque consigli regionali o da 500 mila elettori. Se ciò accadesse e il testo venisse confermato, esso aggiornerebbe definitivamente il nostro testo costituzionale.

In quest'ultimo caso si passerebbe quindi da 630 deputati a 400 e da 315 senatori a 200: un taglio totale di 345 parlamentari, pari al 36,5%. L'Italia, che prima vantava una rappresentanza di un parlamentare su 64 mila abitanti, diventa così in Europa il paese con il minor numero di delegati per 100 mila cittadini (0.7 onorevoli) accodandosi alla Spagna con 0,8 rappresentanti.

Una delle conseguenze più preoccupanti vede protagonisti i partiti, i quali potrebbero diventare sempre più prigionieri di pressioni serrate e scelte, probabilmente, molto meno partecipate. Il quadro politico sarebbe, in questo caso, sempre più appannaggio di pochi eletti controllati dalle segreterie dei partiti con l'inevitabile conseguenza di una minore libertà e l'annullamento del dibattito interno.

Anche le relazioni con il territorio rischiano, in molte regioni, di venire pressoché annullate. Sicilia e Lombardia avranno molta più rappresentatività in valore assoluto a discapito di regioni come Friuli o Molise, geograficamente più piccole e quindi con un numero bassissimo di eletti. Per questi motivi inizialmente il Partito Democratico (PD) ha votato per tre volte contro la modifica del testo costituzionale e solo in quest'ultima votazione, personaggi di spicco come Nicola Zingaretti o Graziano Delrio, hanno riferito che, attraverso l'introduzione di collegi pluriregionali per le elezioni del Senato e una nuova legge elettorale fondata sul sistema proporzionale, ci sarebbero state le garanzie per cambiare posizione e schierarsi a favore del taglio parlamentare: "Il nostro è diventato un sì perché sono state accolte la nostre ragioni" ha affermato Delrio a Radio Anch'io su Radio1 Rai, ma anche Zingaretti ha chiarito: "Abbiamo ottenuto, come da noi richiesto, che il taglio degli eletti si inserisca dentro un quadro di garanzie istituzionali e costituzionali che prima non c'erano". Coincidenze o c'entra anche il cambio di maggioranza avvenuto proprio poco prima dell'ultimo voto? Il critico d'arte e politico Vittorio Sgarbi non ha avuto dubbi, definendo la riforma uno "stupro del parlamento" e il cambiamento di rotta dei Dem un modo per non perdere il legame con il Movimento Cinque Stelle (M5S) e di conseguenza rimanere al governo. Stesso pensiero vale per Emanuele Macaluso, ex direttore del l'Unità, che con un post su Facebook dichiara "il PD ha calato le braghe" e ancora "il taglio dei parlamentari è una legge spot voluta dal M5S per dire che si riduce il costo della politica. Ma è una legge che non modifica nulla".

I favorevoli alla riforma l'hanno sempre giustificata soprattutto sul piano economico, attaccando il costo del Parlamento. Effettivamente la diminuzione dei membri delle due camere genererebbe un risparmio sul bilancio annuale dello Stato. Ma a quanto ammonta questo "enorme" risparmio per i cittadini? Secondo l'analisi fatta dall'economista Carlo Cottarelli saranno circa 81 milioni di euro all'anno ovvero lo 0,007% della spesa pubblica. Verranno quindi spesi pressappoco 1,35€ in meno a cittadino.

Anche i partiti del centrodestra hanno preso una posizione netta: Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega, hanno votato all'unanimità a favore del taglio: la leader di FDI parla di "primo passo per ridurre la distanza tra cittadini e palazzo", ma così facendo il rischio è che avvenga il contrario. Si avverte piuttosto una forte paura del popolo, paura di perdere elettori, venendo questi riconosciuti come coloro che confondono il taglio della rappresentanza con il taglio degli sprechi che la cronaca spesso ci ha sbattuto in prima pagina negli ultimi anni.

In realtà con questa legge sembra essersi avallata l'invidia sociale e l'atteggiamento antigovernativo che vuole la messa al bando di qualsiasi vantaggio a favore dell'istituzione "Parlamento", come se quest'ultima non fosse investita dell'onere della nostra rappresentanza, ma si trattasse di un male sopportato e non necessario. Questa visione porta ad un risparmio economico per il Paese, che potrebbe sembrare comunque positivo, ma che è per forza di cose da bilanciare con il taglio che viene fatto alla rappresentanza. Gridare contro il palazzo significa gridare contro l'istituzione che ci rappresenta e tanto più flebile è la voce del popolo, (dei poveri, degli ultimi), tanto più importante è il mandato parlamentare. I ricchi non hanno bisogno di rappresentanza, i poteri forti possono fare a meno dei parlamentari ed il popolo che urla contro quest'ultimi rischia di urlare contro sé stesso.

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